domenica 31 maggio 2015

Tutto ciò che ruota come Uno

 
 
 
 
FANTASCIENZA
 
 




Tutto ciò che ruota come Uno

 
Il destino ultimo


- E' un lavoro di... ma è pur sempre un lavoro.-
Ripeteva a sé stesso questa constatazione almeno una volta al giorno.
Lo diceva ad alta voce per darsi la spinta.
Imbarcare e sbarcare: Donne e uomini che barcollavano sulla rampa di accesso in preda alle vertigini, con gli organi del senso dell'equilibrio sconvolti dalle accelerazioni e decelerazioni che avevano subito nel corso della loro vita.
Facce anemiche esposte per troppo tempo alle tempeste solari, le cui radiazioni avevano rallentato la creazione di globuli rossi.
E poi i bambini, sopra ai quali passava con una rapida occhiata per evitare di incontrare i loro sguardi.
Erano attratti dalla sua tuta aces - advanced crew escape suit - utilizzata per i lanci e gli atterraggi, sapevano che era il comandante, si fidavano di lui.
Le tute indossate dall'equipaggio erano di colore blu cobalto con lo stemma rotondo della compagnia aerospaziale privata:- Lucky Space Ltd -. Avevano il pregio di proteggere gli astronauti dal bombardamento di radiazioni cosmiche a cui erano sottoposti e, al contempo, permettevano ampia libertà di movimento.
- E' un lavoro di... ma è pur sempre un lavoro,- sussurrava a sé stesso.
Una decina, dei quaranta passeggeri che stavano imbarcando, procedeva a fatica, aiutandosi con stampelle in titanio. Altri tre, tra i quali una ragazzina dai lunghissimi capelli biondo cenere, erano costretti a tricicli elettrici.
Osteoporosi e perdita della massa muscolare erano le più comuni alterazioni prodotte dalla microgravità del Pianeta Marte, e le terapie a volte funzionavano, a volte no.
Tutte quelle persone volevano ritornare sulla Terra, ma ognuna di loro, se non i bambini nati sul Pianeta Rosso, aveva aderito al contratto-tipo e firmato in calce la clausola: - VIAGGIO DI NON RITORNO.-
Era lo stesso contratto che molti decenni prima avevano firmato i coloni del Progetto Mars Forever.
Le leggi internazionali impedivano ai firmatari, e ai loro figli nati su Marte, di ritornare alla Madre Terra, ma non impedivano di recarsi sulle colonie lunari, e da questa possibilità aveva preso vita il business.
Plastic card con i numeri di Social Security falsificati che superavano l'esame di convalida ai posti di controllo. Imbarchi clandestini su navi-cargo interplanetarie. Centinaia di migliaia di yudoru, la valuta interplanetaria, che passavano dalle mani di gente disperata a quelle di traghettatori senza scrupoli.
E lui era uno di quelli, un traghettatore senza scrupoli, un figlio di puttana.

Un tale, con degli occhiali da sole e il colletto del giaccone che gli copriva i lati del volto, stava scrivendo qualcosa su un tablet che reggeva nella mano sinistra.
- Ehi, tu!-
Gordon, il comandante, gli afferrò una manica, strattonandolo.
- Non è permesso. Spegnilo.-
-Mi scusi, comandante. Era l'ultimo messaggio a mia figlia.-
- Spegnilo, subito, o ti sbatto fuori.-
Non l'avrebbe sbattuto fuori, l'avrebbe consegnato a Clark, l'americano che si occupava della sicurezza di bordo, che l'avrebbe tolto di mezzo in un luogo appartato.
Il passeggero spense il tablet.

Dopo che l'ultimo della fila era salito sulla nave, Nicolas, il co-pilota, pigiò il bottone che comandava la chiusura del portellone di accesso, e si apprestarono a sistemare i passeggeri nella stiva di poppa della Mohawk. Era questo il nome della nave-cargo interplanetaria.
Il comandante Gordon aiutò la ragazzina dai capelli biondo cenere a sollevarsi dal triciclo e a sedersi su uno dei piccoli sedili ergonomici sistemati lungo la paratia interna della stiva. Era un ambiente circolare, un anello pressurizzato che correva intorno ai serbatoi di propellente.
Le normative prevedevano che la stiva delle navi-cargo dovesse essere attrezzata per ospitare eventuali passeggeri in caso di sfollamento di emergenza delle colonie planetarie. Questo, naturalmente, aveva favorito gli imbarchi clandestini.
Gordon scelse per la ragazzina uno dei sedili che permettevano di vedere lo spazio esterno da uno degli oblò ovoidali disposti sulla fiancata della nave spaziale.
- Così ti godrai lo spettacolo,- le sussurrò, allacciandole le cinture di sicurezza.
- Grazie, comandante. Per me è la prima volta. Sono nata su Marte e non ho mai volato.-
- Allora sei una extraterrestre dai lunghi capelli biondi. Un'aliena affascinate e pericolosa.-
La ragazzina sorrise.
- Quali sono i tuoi genitori?- le chiese.
- Sono da sola, mio fratello e i miei genitori rimangono nella colonia. Loro sono in salute, si sono adattati. E mio fratello ha la ragazza, anche lei è nata su Marte e sono felici. Sono io quella che ha creato problemi. Le mie ossa non mi sostengono e i muscoli delle cosce... - non finì la frase, scostò lo sguardo arrossendo.
- Capisco. Comunque tu non hai creato nessun problema. Vedrai che sulla Terra ti riprenderai,- le rispose, e aggiunse: - Ti rivelo un segreto. I ragazzi terrestri vanno pazzi per le marziane.-
Le baciò la fronte e lei tornò ad arrossire.
- Tieni la bocca chiusa quando senti accendersi i propulsori, o rischi di morderti la lingua. Olla kalla?- Era l'espressione marziana per okay.
Lei annuì. -Grazie, comandante.-
Gordon salì lungo la scaletta che conduceva al modulo di comando.
- Trenta muniti a tempo zero,- lo informò Philippe, il giovane pilota oriundo francese.
Gordon si sistemò sul sedile centrale, leggermente arretrato, destinato al comandante, e Keno, l'ingegnere tedesco di bordo, attirò la sua attenzione sventagliando una cartellina.
- Ho fatto sostituire tre pannelli dello scudo termico. Se vuoi controllare la fattura...-
Gordon rispose che gli avrebbe dato un'occhiata dopo il lancio, e accese il transponder che teneva alla cintura della tuta aces.
Era una scatoletta di forma quadrata in plastica bianco avorio, misurava all'incirca sei centimetri di lato e uno di spessore.
Gordon pigiò il bottoncino sul lato destro della scatoletta e la luce verde intermittente lo informò che il transponder psycho-messenger si era messo in funzione.
Da quel momento in poi, avrebbe comunicato con i membri del suo equipaggio, con il Centro di Controllo di Marte e con i computer di bordo attraverso il transponder di sinapsi neuronali collegato al biochip impiantato nel suo cervello.
Il suo primo pensiero fu: - Keno, passami il termos del caffè.-
Poi piegò ad uncino il dito indice per interrompere la comunicazione in uscita dei suoi impulsi elettromagnetici cerebrali.
Per riattivarla, gli sarebbe bastato un altro breve e volontario movimento dell'indice.
Gordon sorseggiò il caffè tiepido e molto zuccherato. Era l'ultima occasione per gustarsi un caffè senza l'utilizzo di una zero gravity coffee cup. Per tre mesi l'avrebbe bevuto in assenza di gravità.
Tre mesi per raggiungere la Madre Terra. La tecnologia avanzata dei propulsori ionici aveva ridotto drasticamente la durata dei viaggi interplanetari.
Clark, l'americano che si occupava della sicurezza, e Nicolas, il co-pilota italiano, li raggiunsero nel modulo di comando per sistemarsi nei sedili e indossare i caschi, mentre Philippe connetteva i computer di bordo a quelli del Centro di Controllo.
La cupola dell'hangar in cui sostava la nave spaziale si aprì rivelando il cielo notturno a due lune del pianeta Marte.
- 12-11-10...- Gli astronauti abbassarono le visiere laminate in oro e Gordon controllò per l'ennesima volta che i dati del suo computer collimassero con quelli dei computer del Centro di Controllo Marziano.
Quando il countdown scandì la cifra -6- i quattro endoreattori a propulsione chimica presero vita e nei restanti cinque secondi raggiunsero il massimo della potenza.
Staccarsi dall'abbraccio di Marte, la cui gravità era di molto inferiore a quella del Pianeta Terra, era un gioco da ragazzi per la Mohawk, ma pur sempre uno dei momenti più pericolosi del lungo viaggio.
La nave spaziale era di forma conica con la punta arrotondata, la sua lunghezza, fuori tutto, era di cinquantasei metri. Oltre ai vettori a idrogeno e ossigeno per il lancio, era dotata di un propulsore ionico che Philippe avviò quando lasciarono la rarefatta atmosfera arancione del Pianeta Rosso.

Sandra, la ragazzina dai capelli biondi, che non aveva mai volato, si era immaginata il lancio di una nave spaziale come qualcosa di molto più spaventevole. Le vibrazioni e il frastuono prodotto dai motori, che lei sapeva chiamarsi lanciatori, non l'avevano affatto impressionata.
Le era piaciuto sentirsi spingere contro il sedile. E aveva sorriso nello scoprire che anche le teste dei suoi compagni di viaggio non riuscivano a stare ferme e dondolavano sul collo, colte dal tremito, come le bambole quando lei le scuoteva da bambina.
Ricordò le parole del comandante e, dopo aver sorriso, tenne la bocca chiusa per non mordersi la lingua.
Poi, ad un tratto tutto cambiò.
Sentì come un senso di liberazione, come se in una frazione di secondo fosse guarita dalla sua malattia. Il suo cervello le stava dicendo di non essere preparato ad una cosa del genere, eppure stava accadendo.
Le cinture di sicurezza la trattennero sul sedile, trattennero il suo corpo, ma non le sue braccia, né i suoi capelli che iniziarono una lenta, elegante danza.
Il signore con gli occhiali da sole, che le stava seduto vicino, disse:- Gravità zero. Siamo usciti dall'orbita.- E le persone intorno a lei applaudirono. Era così che si faceva, l'aveva sentito dire. Provarlo era tutta un'altra cosa.
Le cuccette disposte sul soffitto dell'astronave adesso avevano un senso.
Quel viaggio prometteva un sacco di divertimenti, e il comandante le era davvero simpatico. Le aveva persino dato un bacio sulla fronte. Le sarebbe piaciuto ricambiare quella gentilezza, magari con un regalo. Cosa avrebbe potuto regalargli? Aveva ben poco con sé.

- Tutto ciò che ruota come uno.-
Era la frase preferita del suo istruttore di volo ed erano le parole con le quali gli antichi Greci definivano l'Universo.
- Sulla nave, non dovete mai dimenticare di appartenere ad un gruppo. La vostra sopravvivenza è legata a quella degli altri. Ai dispositivi di bordo, alla vostra rotta, all'Universo che vi circonda, e che ruota come uno...-
Belle parole, ma la realtà era molto diversa. Lontana, da quella nobile affermazione, quanto una galassia sconosciuta.
Non poteva affermare di essersi trovato coinvolto nel business senza nemmeno essersene reso conto. Eccome che se n'era reso conto.
- Vedrai che tutto filerà liscio come l'olio,- lo aveva rassicurato il suo diretto superiore, il responsabile del personale di volo.
Gordon si era chiesto parecchie volte se i vertici della compagnia aerospaziale, per la quale lavorava, fossero a conoscenza del business, e ne aveva discusso con i membri del suo equipaggio, che a loro volta erano stati invitati a partecipare all'affare.
Nessuno di loro aveva le idee ben chiare su quanto stesse accadendo all'interno della compagnia. Avevano così deciso di avviare delle discrete indagini personali, ma non ne avevano cavato un ragno dal buco. L'unica cosa che erano riusciti a scoprire, era che se facevi troppe domande o ti rifiutavi di accogliere a bordo dei passeggeri clandestini, ad un certo punto sparivi.
Era accaduto a dei loro colleghi, si diceva, spariti nel nulla insieme alle loro famiglie. Era questa la voce che girava nei corridoi del personale di volo della Lucky Space Ltd.
Se fosse una voce convalidata da prove certe, Gordon e i suoi non erano riusciti a scoprirlo. Per farlo, avrebbero dovuto richiedere un colloquio con il responsabile della sicurezza della compagnia aerospaziale, e questo significava esporsi personalmente.
Il comandante della Mohawk e i membri dell'equipaggio avevano deciso di non esporsi.
Gordon aveva famiglia, una moglie e due figli ai quali aveva promesso che entro l'anno successivo si sarebbero trasferiti in una Zona Protetta.
Sul Pianeta Terra, le Zone Protette erano rigogliose oasi di verde che soltanto pochi potevano permettersi.
A Gordon piaceva mantenere le promesse.

- E' il momento di servire il caffè,- disse in tono grave il comandante della Mohawk.
- La gentilezza riservata ai condannati,- ribatté a bassa voce Keno, l'ingegnere di bordo, togliendosi il casco.
- Stai zitto!- lo aggredì Philippe in tono caustico. - E' già abbastanza difficile,- aggiunse, alzandosi dal sedile nel modulo di comando.
Al caffè, destinato ai passeggeri, era stata aggiunta della benzodiazepine, un farmaco ipnotico-sedativo, e un anti-dolorifico oppiaceo che non li avrebbe uccisi, ma lenito la breve, inevitabile sofferenza.

Nel corso dei loro viaggi interplanetari, Gordon e i suoi uomini avevano constatato che i controlli in uscita dal Pianeta Rosso erano tutt'altro che rigidi. Non era difficile eludere le verifiche e corrompere i funzionari doganali.
Era sempre stato così, insisteva Keno, il più anziano dell'equipaggio.
All'arrivo sulla Terra, invece, i controlli si infittivano. Per passare attraverso le maglie della rete dei Border Control Terrestri dovevi essere per lo meno un diplomatico o avere agganci politici, oppure possedere tanta di quella valuta da ungere i tapis roulant degli spaceport, e provocare una totale, quanto momentanea, cecità ai funzionari e ai sofisticati scanner delle Agenzie Doganali.
Era un'assurdità.
Per logica, sarebbe dovuto essere il contrario. Gli spaceport di Marte erano molto meno numerosi e frequentati di quelli terrestri, quindi più facili da controllare.
Eppure, non era difficile immaginare il perché di questa incongruenza.
Nessuno si preoccupava della sorte di chi non accettava compromessi o di quelli che non erano riusciti ad adattarsi a una nuova vita su un altro pianeta, e che non appartenevano alle categorie sociali elevate. L'importante era che non si rifacessero vedere sulla Terra.
Il comandante Gordon era convinto che non fosse un problema di sovrappopolazione, che comunque era uno dei tabù di cui non bisognava mai parlare, quanto un problema di organizzazione. L'umanità, nonostante i passi avanti, rischiava di perdersi nell'infinito oceano dell'indifferenza.
Gordon non ricordava dove avesse letto quest'ultima asserzione. Forse era stato su uno di quei vecchi testi antropologici che gli aveva passato il suo anziano istruttore di volo. Attraverso i quali era venuto a conoscenza della Teoria della Setta del Potere Grigio, una presunta organizzazione segreta che aspirava al controllo della mente di ogni essere umano.
Scrollò il capo per distogliersi dai suoi pensieri e controllò che il transponder psycho-messenger fosse disattivato.
Insieme a Clark si perse nel guardare il monitor collegato alle telecamere della stiva di poppa.
La ragazzina, dai lunghi capelli biondi e i muscoli delle cosce rattrappiti, aveva consegnato qualcosa a Nicolas, che aveva riposto il piccolo oggetto scuro nel taschino della tuta e poi aveva continuato a servire il caffè ai passeggeri.
- Cosa ti ha dato?- domandò il comandante della nave, riattivando il suo psycho-messenger e comunicando con quello del co-pilota.
- Niente, comandante. Niente di importante.-
- Ti ho chiesto cosa ti ha consegnato la ragazzina,- insistette Gordon, aveva il dubbio che non si fosse trattato di un oggetto ma di un piccolo animale.
- Un pupazzetto fatto sulla Terra, con i capelli in fibra vegetale e il corpo di caucciù.-
Clark si alzò dal suo sedile.
-Vado a indossare la tuta pressurizzata,- lo informò a voce, e Gordon annuì.
Era di competenza del responsabile della sicurezza ripulire la stiva di poppa, e gettare i cadaveri nello spazio, dopo che il comandante della nave aveva inserito il comando di depressurizzazione.
In assenza di pressione, i corpi dei passeggeri non sarebbero esplosi, come molti credevano, ma si sarebbero gonfiati a dismisura.
La distrazione non aveva dato modo a Gordon di percepire quanto il co-pilota aveva sussurrato nei suoi pensieri un attimo prima:- E' un regalo per lei, comandante.-
Come se avesse intuito che quei fluttuanti capelli biondi volevano comunicargli qualcosa, Gordon non riusciva a scostare lo sguardo dal monitor. Dall'immagine di quella ragazzina che avrebbe potuto essere sua figlia.
Rimase da solo nel modulo di comando.
C'era il bottone rosso da schiacciare...

Vincent Bianco
 

giovedì 28 maggio 2015



Racconti di Fantascienza








La Ragazza dagli occhi Blu

Al villaggio giravano strane voci su di lei...


Aveva gli occhi blu.
Del colore dei bambini, come se le sue iridi non avessero subito il naturale processo di pigmentazione.
Ma non era più una bambina, era una giovane donna di diciannove anni.
L'avevano trovata in uno sperduto villaggio berbero sulle pendici dell'Atlante.
Si chiamava Amina, era orfana e viveva con la famiglia della zia materna.
Seppure fosse molto bella, non aveva ancora un marito.
Al villaggio giravano strane voci su di lei.
Si diceva, ad esempio, che non dormisse mai, né di giorno né di notte. Che fosse capace di vedere oltre le pareti delle case e raccontare avvenimenti ai quali non aveva partecipato. Che fosse immune al veleno degli scorpioni e che sapesse far addormentare i serpenti.
In pratica, gli anziani del villaggio consideravano Amina una donna dalle rare doti delle streghe incantatrici del lontano passato.
I giovani, che invece non avevano mai creduto alle streghe, parlavano di lei come una ragazza molto attraente, ma dal comportamento tanto strano da rasentare la follia, e nessuno si era azzardato a chiederla in moglie.
Cosicché, il giorno in cui un professore dell'Università di Rabat, in visita al villaggio berbero, espresse l'intenzione di condurre Amina nella Capitale per sottoporla a un esame specialistico e a degli innocui test clinici, gli zii della ragazza non posero alcuna resistenza.
Anzi, furono ben felici di liberarsi da quell'inutile peso che gravava sulle loro spalle.

Il professor Zakaria Faouzi, ricercatore della facoltà di biotecnologia, non era capitato per caso in quello sperduto villaggio.
A dirla tutta, per il professore e il suo seguito di studiosi era stata una vera e propria impresa trovare Amina.
Sapeva che era berbera del Monte dei Monti, che è la definizione con la quale le tribù berbere indicano la catena dell'Atlante. Che era una bella ragazza, molto giovane, con i capelli neri e che possedeva degli straordinari occhi blu, puliti come quelli di una bambina di pochi giorni.
Ma non sapeva in quale zona dell'Atlante Nord Africano la ragazza vivesse.
Riuscì nell'impresa grazie a un fondo intergovernativo messo a disposizione dalle cinque agenzie che gestivano la Stazione Internazionale denominata Deimos-2, che orbitava intorno a Marte da tre anni.
Per comprendere l'interesse dei ricercatori scientifici verso Amina, dovete mettervi nei panni di un'astrofisica italiana imbarcata da quattro mesi sulla Deimos-2.
Si chiamava Corinna Garau ed era una ragazza dal carattere piuttosto chiuso e riservato, che possedeva una notevole preparazione nell'ambito della fisica spaziale e un'ottima padronanza del metodo scientifico di indagine.
Se Corinna diceva qualcosa, gli altri membri dell'equipaggio rizzavano le orecchie e stavano ad ascoltare. Perché Corinna non parlava tanto per spezzare il silenzio. Se lo faceva, voleva dire che c'era qualche ragione di interesse comune.
Perciò, quando la ricercatrice italiana disse:- Da qualche parte lì fuori c'è qualcuno che sta giocando con noi.- Gli altri, come da copione, rizzarono le orecchie.
Il successivo passo di Corinna fu di esibire le prove concrete di quanto aveva affermato.
L'equipaggio della Deimos-2 si riunì intorno al tavolo del modulo Unity, e ognuno dei sei membri accese il laptop personale.
- Avviate Media Player, per favore, e cliccate su 'title 3',- disse Corinna.
- E chi ce l'ha messo?- domandò Hayato, il giovane biologo giapponese.
- Appunto!- rispose Corinna, e seguitò:- Lo hanno inviato a tutti noi, ma non è arrivato dal Centro di Controllo.-
L'equipaggio della Deimos-2 trascorse i successivi sei minuti a guardare il video dai monitor dei loro computer personali.
Le immagini erano supportate da un sonoro che spezzava le orecchie.
Il rumore di catene che risuonava seguendo un ritmo sempre uguale, un ritmo troppo antico che feriva in profondità.
Le catene stringevano delle caviglie e le caviglie sostenevano dei giganteschi animali grigi.
Una fila di una ventina di elefanti asiatici che danzavano incatenati.
Una danza circoscritta, non potevano camminare, le catene erano assicurate a dei pioli conficcati nel terreno.
Danzavano oscillando il capo da una parte all'altra e lo facevano tutti insieme, all'unisono. Una danza ipnotica.
Sotto le immagini scorreva una dicitura con una parola scritta nelle principali lingue della Terra: - MEMORIE -

- E' terribile!- esclamò Thalie, l'esperta in fisica cosmica. - Hai informato il Centro di Controllo?- domandò a Corinna.
- Sì. Mentre voi eravate di riposo. Ho parlato con William, e gli ho inviato il video. Stanno cercando di capire come hanno bypassato i nostri sistemi di sicurezza.-
William Laine era il direttore del Centro di Controllo Terrestre.
- Non è scattato l'allarme?- chiese Hayato.
- Né qui, né sulla Terra,- rispose Corinna.
Ognuno dei membri dell'equipaggio della Deimos-2 si stava rendendo conto della situazione, dell'improvvisa vulnerabilità del progetto e delle loro stesse vite.
Gli hacker interplanetari avrebbero potuto interferire con i comandi di bordo.

Quattro ore dopo, Corinna era da sola nel modulo della Stazione Spaziale dove eseguiva le sue ricerche.
Laptop in grembo, era completamente concentrata nel suo lavoro, quando, sulla destra del monitor, si aprì per una frazione di secondo una piccola finestra. Fu soltanto un attimo e Corinna non riuscì a distinguere l'immagine.
Non perse tempo e si collegò con il Centro di Controllo.
- Qualcuno si è intromesso nel mio laptop,- affermò, cercando di non far apparire dal tono della voce la sua apprensione.
- Ci stavamo mettendo in comunicazione con te,- le rispose il direttore. -Questa volta li abbiamo intercettati. Corinna, per il momento l'informazione deve rimanere riservata. Il segnale non viene da una Stazione Terrestre, né dalla Colonia su Marte. Il segnale viene dallo spazio profondo.-
- William, aspetta! Si è riaperta la finestra sul mio monitor. La vedi?-
-No!-
Corinna vide dapprima un'immagine sfocata che si fece nitida per rivelare tutta la sua incongruità.
- Cosa vedi Corinna?-
Riconobbe se stessa da bambina e ricordò quel particolare momento che era stato ripreso da suo padre con una handycam alla festa per il suo decimo compleanno.
Corinna sentì le lacrime dietro agli occhi.
Scosse la testa, i suoi lunghi capelli, colorati in una sfumatura verde chartreuse, fluttuarono liberi dalla gravità.
Le sue stesse lacrime danzarono intorno a lei.
Corinna avvertì come una mano stringerle lo stomaco, una forza che la fece sprofondare nel passato e dimenticare il presente. Inconsapevole, iniziò a muovere lentamente il capo.
William Laine, tenendo conto dei quasi dieci minuti necessari alla sua voce per arrivare dal Pianeta Terra alla Stazione Spaziale nell'orbita di Marte, non aspettò prima di ripetere la domanda:- Corinna, il video, descrivimi quello che vedi.-
- Come sono venuti a sapere che il giorno del mio decimo compleanno è stato l'ultimo trascorso con mio padre?- sussurrò l'astronauta.
William pensò a una risposta che avesse un senso:- Se sono riusciti a bypassare le nostre difese, per loro non sarà stato difficile connettersi al computer di casa tua, sulla Terra.-
- Fermateli, vi prego!-
- Ci stiamo lavorando. Interromperemo tutti i canali di trasmissione per riavviarli su altre frequenze. Mantieni calmi i ragazzi. Si fidano di te, okay?-

Nelle successive dodici ore, ogni membro dell'equipaggio della Deimos-2 ricevette un video sul proprio computer e per ognuno di loro si trattò di uno shock emotivo legato al passato.
- MEMORIE -
Ad intervalli di due ore, qualcuno, da una stazione sconosciuta, era riuscito a bypassare i sistemi di sicurezza e scaricare i video.
Per Corinna, a sua volta turbata, non fu facile avere per i suoi colleghi una parola di conforto, ma ci provò.
- Mi chiedo cosa vogliano ottenere,- sussurrò Hayato.
- Vogliono spaventarci! E poi non lo so. Forse il loro obiettivo è ostacolare i nostri programmi...- rispose Brianne, l'esperta in fisica quantistica.
- Sarà uno di quei gruppi che si oppongono ai voli spaziali e che cerca di farsi della pubblicità a nostre spese. Immagino che William ci chiederà di mantenere l'assoluto riserbo sulla questione. Voi che ne pensate?- domandò Thalie.
- E se fossero terroristi?- Alla domanda di Achim, l'ingegnere biomedico di bordo, calò il silenzio.

Durante il turno di riposo nel modulo insonorizzato chiamato 'Take a Break', Corinna ricevette una comunicazione dal Centro di Controllo Terrestre.
Era una cosa inusuale.
Infilò le cuffie e ascoltò la voce di William Laine:- Abbiamo analizzato il primo video. Quello con gli elefanti. L'abbiamo fatto scorrere a bassa velocità e abbiamo individuato un messaggio subliminale. Accendi il tuo laptop.-
Corinna osservò con attenzione le immagini che scorrevano a rallentatore sul piccolo monitor, finché la danza degli elefanti divenne sfocata e al suo posto apparve un volto umano. L'immagine prese consistenza e Corinna si ritrovò a guardare una ragazza con un cappuccio che le ombreggiava il viso.
La ragazza sorrise, aveva forti denti bianchi, inclinò il capo su una spalla e le parlò in una lingua sconosciuta, che il traduttore automatico rivelò essere un dialetto del Nord Africa:- Che ci fate lassù?-
Corinna, istintivamente, posizionò vicino alle labbra il microfono collegato alle sue cuffie. Poi si sentì stupida, era una registrazione, non avrebbe potuto rispondere.
Eppure aveva avuto la netta sensazione che la ragazza apparsa sul monitor fosse in contatto con lei in quel preciso momento, ed in attesa di una risposta.
- Ricerche, facciamo delle ricerche. E' il mio lavoro,- sussurrò tra sé.
- Che genere di ricerche?-
Corinna sollevò le sopracciglia esprimendo stupore per quell'appropriata domanda.
- Sono un'astrofisica. Studio le stelle, le galassie, le forme della materia presenti nell'Universo,- rispose a bassa voce, pensando che chiunque fossero quegli hacker, erano stati bravi a supporre domande e risposte.
- Ti limiti alla materia o studi anche la vita?-
- Sono un'astrofisica osservativa. Attualmente sono impegnata nello studio della radiazione cosmica di fondo.-
- Stai cercando il primo respiro?-
Corinna portò la punta delle dita davanti alla bocca. Quello non era un video registrato. La ragazza stava parlando con lei.
Cercò di mantenersi quieta e rispose:- Beh, si può dire anche così. Il primo respiro dell'Universo.-
- E se non ci fosse un inizio? Se tu ed io stessimo semplicemente attraversando fasi di intensità?-
- Potrebbe anche essere,- rispose Corinna. - Ma tu come hai fatto a collegarti con noi?- domandò.
- Ho degli amici...- rispose evasiva la ragazza.
- Vi rendete conto che state commettendo una grave infrazione? E' un reato intromettersi nelle comunicazioni di un'agenzia privata. Potreste creare dei problemi al funzionamento dei nostri supporti vitali.-
- Non avere paura Corinna. I miei amici non vogliono farti del male,- rispose la ragazza e sollevò il viso, permettendo a Corinna di vedere degli incredibili occhi blu che la fissavano con gentilezza.
- Chi sono questi tuoi amici?- chiese l'astronauta.
- Io ho molti amici. Loro parlano con me. Sanno molte cose, sono consapevoli di essere vivi da prima di quanto lo siamo noi. Lo capisci questo Corinna?-
- Come sapevate di mio padre?- domandò Corinna, evitando di rispondere.
- I miei amici non comunicano con i pensieri, ma attraverso le sensazioni. Come stiamo facendo tu ed io. Ora... adesso... e come ci parleremo in futuro, e come ci siamo parlate in passato...-
L'immagine della ragazza dagli occhi blu divenne sfocata, fino a scomparire in un fruscio ritmico che avvolse il modulo della Stazione Spaziale.
- MI puoi sentire Corinna?- Era la voce del direttore del Centro di Controllo. E sul piccolo monitor del laptop di Corinna apparve la faccia preoccupata di William Laine.
- Sì, William. Sono qui,- rispose l'astronauta.
- Non so come abbiano fatto, ma sono riusciti ad inserire nel video registrato un segnale elettromagnetico che ti ha permesso di comunicare con quella strana ragazza!-
- Sono stati i suoi amici...- rispose Corinna.
- Si sono identificati? Chi sono?- le domandò il direttore.
Corinna non rispose.

Era impensabile che una ricercatrice, scrupolosa come Corinna, credesse a quanto la ragazza dagli occhi blu le aveva rivelato. Almeno così si suppone, perché Corinna essendo una donna chiusa e riservata non rivelò mai a nessuno se ci credesse o meno.
Venne aperta un'inchiesta, ci furono delle indagini per individuare gli hacker e consegnarli alla Giustizia.
Decine di pirati interplanetari furono interrogati, e fu inviata una sonda spaziale alla ricerca di un satellite che corrispondesse a quello che aveva inviato i segnali elettromagnetici alla Stazione Internazionale Deimos-2.
Gli investigatori e i ricercatori scientifici, basandosi sulle immagini del video e sul dialetto usato dalla voce femminile registrata, si misero sulle tracce della sconosciuta ragazza che aveva comunicato con Corinna Garau.
Trovarono Amina nello sperduto villaggio dove era nata e la condussero nella Capitale.
La ragazza berbera fu sottoposta a estenuanti interrogatori. Ma lei non fece rivelazioni al riguardo di chi le aveva fornito i sofisticati mezzi che le avevano permesso di comunicare con l'astronauta italiana. Ad ogni seduta si limitò ad intervallare lo spazio-tempo chiedendo un'aggiunta di zucchero al suo tè.
Venne avvalorata l'ipotesi che gli hacker la controllassero a distanza e Amina fu sottoposta a magnetoencefalografia per misurare i campi magnetici prodotti dal suo cervello.
La esaminarono ai raggi X penetrando in ogni anfratto del suo organismo per rintracciare un qualche biochip che le fosse stato impiantato e che agisse da ricetrasmettitore.
La sottoposero ad esami elettroencefalografici in stato di veglia e di riposo senza riscontrare nulla di anormale.
Chiamarono una famosa psichiatra americana specializzata in ipnositerapia che cadde in trance alla prima seduta, e raccontò in seguito di aver sognato un cucciolo di elefante che la osservava con curiosità, mentre Amina continuava tranquillamente a bere il suo tè.
Alla fine si arresero.
- Ti riportiamo a casa,- la informò il professor Zakaria Faouzi dell'Università di Rabat.
Amina annuì silenziosa e si alzò dalla poltroncina nello studio del professore, coprendosi il capo con il suo cappuccio di lana turchese.
Zakaria guardò per l'ultima volta quella strana ragazza senza scoprire niente di più che due straordinari occhi blu, puliti come quelli di una bambina di pochi giorni di vita.


Vincent Bianco


 

martedì 19 maggio 2015

Racconti di Fantascienza





La Libellula


 Era  un piccolo stagno protetto da una valle solitaria, molto silenziosa, circondata da dune di polvere rossa e pietre porose.
Sull'acqua, tempestata da tenui riflessi e baluginii di luce, galleggiavano le foglie scure di una rara specie di piante acquatiche, le cui radici, sottili come i capelli di una donna, si allungavano sino a raggiungere la terra argillosa del fondale.
La sua mano guantata, dalle otto dita lunghe e affusolate, accarezzò delicatamente la superficie dell'acqua increspandola appena.
I microscopici e delicati sensori, incastonati nei guanti, captarono il segnale che risalì lungo il braccio, sotto lo strato protettivo della tuta grigio-azzurra, e le informazioni iniziarono a scorrere sul bordo superiore destro del visore laminato d'oro.
- Ho paura. Loro sono qui,- sussurrò Taxa bx 72.
Il suo alito si condensò in goccioline che si depositarono sul visore per scomparire subito dopo, spazzate via dal liquido antiappannante.
Le sue parole raggiunsero le profondità dello stagno. Poi, le onde elettromagnetiche rimbalzarono fino allo strato più elevato dell'atmosfera dell'esopianeta e furono intercettate.

- L'ho sentita di nuovo. Non era un'interferenza. Era una voce di donna,-
affermò l'ingegnere addetto alle comunicazioni dell'URSUS, il Rimorchiatore Interstellare impegnato nella ricerca di superstiti ai naufragi spaziali e al soccorso e recupero delle navi in avaria.
- Informate il comandante.-
Il segnale elettromagnetico proveniva dall'esopianeta denominato "14 OAT b".
Da quanto risultò dall'archivio di bordo, a quelle coordinate, l'ultimo naufragio risaliva a quattrocentoventinove anni prima.
Anni del Calendario Terrestre.
- Potrebbe essere una voce registrata,- ipotizzò Carlo Wiess, il comandante.              
- Vediamo le immagini del naufragio inviate al Centro di Controllo.-
Il cartografo di bordo fece scivolare la punta di un indice sul tavolo da carteggio elettronico e il programma caricò le immagini olografiche degli ultimi istanti fatali a bordo della Nave Interstellare FANTHAM naufragata quattro secoli prima.
Un respiro affannoso proveniente dal lontano passato invase il ponte di comando. Le riprese della telecamera posizionata sull'elmetto di uno dei passeggeri erano molto mosse. Lame orizzontali di fumo azzurro tagliavano l'atmosfera presurrizata dell'airlock, la camera di equilibrio, dove si trovavano le uscite di emergenza.
Ad un tratto l'olomonitor si fece buio e poi il nulla.
- Passiamo al rapporto sull'incidente,– ordinò il comandante del Rimorchiatore Interstellare.
Luca Brandi, il cartografo, interfacciò il rapporto con le immagini della tragedia.
- L'Astronave FANTHAM è stata gravemente danneggiata dall'impatto con un asteroide,- lesse il cartografo e seguitò: - A bordo c'erano soltanto due passeggeri, una coppia italoamericana. Il governo della nave era completamente automatizzato e la gestione robotizzata. Uhm... l'invio telemetrico dei dati fisiologici dei due passeggeri si è arrestato improvvisamente... Un'esplosione... Le ricerche nell'area dell'incidente non hanno dato alcun esito...-
- Per tutti i serpenti gialli di Pangea!- esclamò il comandante, interrompendo il subalterno e appoggiando le mani sul tavolo, lo sguardo fisso sulle immagini olografiche che avevano automaticamente ripreso a scorrere dall'inizio.
Luca Brandi e Michele Silvestri, l'ingegnere addetto alle comunicazioni, si scambiarono un'occhiata furtiva.
- Datemi i progetti della scialuppa di salvataggio della FANTHAM,- ordinò il loro superiore.
- Comandante, mi permetto di farle notare che non sono riusciti a salire sulla scialuppa. L'esplosione...-
- Riporta indietro il video!-
- Sì, comandante.-
- Vedi?- domandò Carlo Wiess in tono controllato.
Luca Brandi e Michele Silvestri sbarrarono gli occhi, comprendendo cosa il loro superiore aveva notato in quelle immagini sfocate.
- Non c'è!- esclamò esterrefatto il cartografo.
- O sono decollati senza le dovute misure di sicurezza, e questo comporterebbe una grave mancanza, oppure...- il comandante del Rimorchiatore Interstellare lasciò la frase in sospeso.
- Oppure hanno lanciato la scialuppa prima che la nave esplodesse...- sussurrò Michele Silvestri.

Per essere state progettate quattro secoli prima, le scialuppe di salvataggio della serie di astronavi: "Magalhaes-Automated-Space-Flight", a cui apparteneva la FANTHAM, erano dei gioielli di ingegneria aereospaziale.
Erano state pensate per la sopravvivenza a lungo termine in ambiente ostile e dotate di robotica mobile e semimobile. I duecento computer di bordo erano capaci di elaborate, calcolare e concepire soluzioni che permettessero di ricavare energia e materie prime dallo spazio circonstante nelle situazioni più estreme.
"Ma quattrocento anni sono troppi per sopravvive da soli nella Costellazione del Cigno. In un sistema stellare triplo, distante settanta anni luce dal pianeta Terra," pensò il comandante dell'URSUS.
Distogliendosi da quel pensiero, disse invece:- E' nostro dovere appurare se la voce che abbiamo intercettato è un messaggio registrato o se gli eredi dei naufraghi della FANTHAM sono riusciti a sopravvivere.-
- Erano da soli e sono morti. Quali eredi, comandante?- domandò Luca Brandi con sincero stupore.
Il comandante richiamò sul tavolo da carteggio, a retro illuminazione, il progetto delle attrezzature interne della scialuppa di salvataggio della FANTHAM e batté l'indice sulla lista delle apparecchiature elettroniche medicali.
- Questo è il motivo per cui ho voluto esaminare l'elenco delle attrezzature di bordo della scialuppa. Leggete qui...-
Michele Silvestri lesse la dicitura ad alta voce: - L'infermeria è dotata di due uteri artificiali modello Taxa bx.-
Il comandante riprese la parola:- Se su quel esopianeta ci sono degli esseri umani è perché i naufraghi della FANTHAM si sono sacrificati per dare la possibilità ai loro eredi di sopravvivere. La scialuppa è stata progettata per la sopravvivenza a lungo termine di due sole persone,– affermò.
- I passeggeri erano una coppia... i loro figli... gli embrioni... - sussurrò Luca Brandi.
- Facciamo rotta su 14 OAT b,- ordinò il comandante Carlo Wiess e si congedò dai subalterni per raggiungere il suo alloggio.
Rimasto da solo, si servì di una dose liscia di vodka di Pangea.
La voce intercettata pareva un'identità di genere femminile, una giovane donna, lo aveva confermato anche l'analizzatore del timbro vocale.
- Quattrocentoventinove anni di solitudine,- sussurrò tra sé Carlo Wiess, chiedendosi chi avrebbero trovato una volta scesi sull'esopianeta.
Sbirciò fuori dall'oblo della sua cabina, tracannò un'altra sorsata di liquore dalla zero gravity cup e, rivolgendo lo sguardo a una stella lontana, esclamò:
- Ti veniamo a prendere Bambina!-

Non aveva tempo da perdere. Gli invasori stavano per arrivare.
Taxa bx 72 era da sola, ma non era sempre stata da sola. Taxa bx 71 aveva condiviso la scialuppa-casa con lei per duecentocinquanta anni. Poi, Taxa bx 71 aveva spiegato le sue ali per volare via. Ma era troppo presto per un simile gesto. Taxa bx 72 lo aveva implorato di rimandare, di aspettare il momento opportuno dopo la quarta muta come la Madre consigliava.
C'era stata quella cosa tra di loro, simile a un bacio terrestre, di quelli che avevano visto e rivisto nei video archiviati nella memorie della scialuppa-casa che facevano parte della loro educazione.
Non era stato facile ammettere che i bracci robotici che li avevano accuditi e la voce che scaturiva dagli altoparlanti non erano... non erano dotati di quella particolare essenza che aveva avuto quel bacio...
Si erano chiesti chi fossero Taxa bx 71 e Taxa bx 72 e chi fosse la Madre che gli aveva amati e fatti crescere.
Madre Solitudine.
Una cappa che ricopriva il pianeta in cui erano cresciuti.
Nei secoli, Taxa bx 72 aveva ripercorso il loro cammino da quando la scialuppa era scesa su 14 OAT b, l'esopianeta.
Il silenzio dello spazio-tempo e una sonda che si snodava tra le pietre rossastre fino a raggiungere lo stagno. L'acqua era inutilizzabile, la percentuale di ammoniaca era molto elevata. Algoritmi scritti sulla cartapecora del passato avevano rielaborato i composti chimici e l'acqua, bevibile, era scaturita dalla sorgente artificiale all'interno della scialuppa-casa. L'ombra delle api terrestri aveva composto il miele dal nettare sintetico. I funghi coltivati nella micro-serra avevano contribuito con le loro sostanze proteiche e gli embrioni erano sopravvissuti.
VITA!
Per succhiare il fungo-miele non erano necessari i denti e Taxa bx 71 aveva rielaborato il processo di accelerazione che agiva sulla struttura del suo DNA.
Così facendo, Taxa bx 71 aveva seguito l'impulso primario. L'impulso ereditato dal padre che non aveva mai conosciuto e nemmeno si immaginava di avere.
Incomprensioni nella scialuppa-casa e mille domande.
Taxa bx 72 aveva visto la bocca del suo compagno di vita trasformarsi in una proboscide che si attorcigliava.
Non era del tutto sbagliato.
Non avevano bisogno di quei pezzi di avorio incastonati nelle loro bocche per succhiare la linfa che li manteneva in vita.
Ma era stato un errore rielaborare l'imput. Il ciclo codificato molto prima che loro nascessero, prima della formazione dei loro embrioni, nel vortice a doppia elica dell'acido desossiribonucleico che Taxa bx 71 aveva sovvertito a suo capriccio.
"Per lui era un gioco," pensava Taxa bx 72. "E ne ha pagato le amare conseguenze."
Resosi conto dell'errore e consapevole di un impossibile ritorno aveva voluto spezzare i parametri e uscire nudo fuori dalla scialuppa-casa.
E le sue ali si erano bruciate.
Lei avrebbe voluto seguirlo, sfilandosi l'esoscheletro e uscendo allo scoperto senza indossare la tuta pressurizzata, nuda anche lei. Ma aveva esitato un attimo e l'istante successivo aveva sentito per la prima volta il segnale proveniente dallo stagno.
Una consapevolezza superiore si era manifestata emergendo dall'acqua torbida del fondale e le aveva sussurrato che non era quello che ci si aspettava da lei.
Taxa bx 72 aveva così iniziato il rapporto di simbiosi con le piante acquatiche di cui la Madre le aveva parlato secoli prima, quando lei e il suo compagno di vita erano due bambini accuditi da bracci meccanici.
- Svilupperete una simbiosi con le piante acquatiche il cui genoma, quanto il vostro, è stato modificato. Siete stati creati per sopravvivere dove nessun organismo vivente è mai riuscito a resistere per più di pochi minuti. Voi siete il futuro. Orgoglio per tutti noi!-
Parole che per Taxa bx 72 non avevano un senso:- Tutti noi chi?-
Negli anni scanditi dall'orologio atomico e dal calendario terrestre della scialuppa-casa, le piante acquatiche le avevano insegnato a discernere le sensazioni in modo diverso e Taxa bx 72 aveva intravvisto l'orrore. Le piante sapevano e le insegnavano a comprendere l'essenza delle cose e allo stesso tempo la proteggevano dall'impatto con la realtà che a volte la faceva gridare e piangere e tremare fino a perdere i sensi.
La Madre non l'amava. Ancora peggio, non era mai esistita. Erano stati allevati da un procedimento algoritmico. Erano da soli. Era da sola e sarebbe impazzita se la quieta consapevolezza che dimorava nello stagno, tra le sottili, lunghe radici delle piante acquatiche, non l'avesse avvolta nella tiepida e rassicurante umidità ammoniacale, facendole dimenticare che Taxa bx 72 era soltanto un esperimento perduto nello spazio interstellare.

Sebastian Larsen si identificò innanzi al portello della cabina del capitano e attese.
- Entra!- Una voce leggermente alterata, scaturita dall'autoparlante rivettato sopra il portello sul corridoio esterno.
Sebastian, dell'Ordine dei Frati Minori e Ufficiale Consigliere di bordo del Rimorchiatore Interstellare URSUS, pigiò il pulsante ed entrò.
Aleggiava nell'aria pressurizzata della cabina l'inconfondibile odore dell'alcol.
Sebastian, adocchiando la zero gravity cup lasciata sul tavolo della colazione, scosse quasi impercettibilmente il capo.
Le zero gravity cup erano delle icone del passato. Inutili da quando le navi interstellari erano munite di generatore di gravità, se non nei rari momenti in cui il generatore veniva spento per la manutenzione ordinaria o perché la situazione lo richiedeva. Eppure, le zero gravity cup continuavano a circolare nell'ambiente degli astronauti professionisti. Erano una specie di marchio di riconoscimento. Come dire: "I was a spaceman before you were..."
Sebastian Larsen prese posto in una delle poltroncine. Il capitano era steso nella sua cuccetta e non lo aveva degnato di uno sguardo. Erano amici.
- Porteremo con noi la DeVenne. Non tanto perché ci serva un medico, ma perché è una donna,- lo informò il capitano, e seguitò:- La voce intercettata era di genere femminile. Una ragazza sopravvissuta da sola per quattrocento anni potrebbe spaventarsi nel vedere tre energumeni sbucare all'improvviso tra le dune del suo esopianeta.-
- Già!- ammise il frate. Era logico che il capitano si riferisse alle comunicazioni via etere in avvicinamento che la naufraga avrebbe intercettato, più che all'aspetto dei soccoritori infagottati nelle tute monopezzo-unisex-pressurizzate.
- Ho fatto delle ulteriori ricerche nei file storici dell'O.F.M.,– disse Sebastian Larsen, e aggiunse:- Ai loro tempi, i passeggeri della nave naufragata erano famosi...-
- Riassumi, Sebastian. Scusa, ma sono stanco,- lo interruppe Carlo Wiess. - Cosa vuoi dire?-
Prima di spiegarsi, Sebastian Larsen prese un respiro. - Erano due ricercatori, marito e moglie, e sono stati radiati dall'albo degli ingegneri genetici. Con questo voglio dire che non sappiamo chi troveremo su quell'esopianeta.-
- Lo so, Sebastian, lo so...- rispose il comandante dell'URSUS.

Scesero su 14 OAT b.
E lei era da sola come avevano immaginato. Nella sua tuta grigio-azzurra.
Una cappa di solitudine avvolso i soccorritori. I visori si annebbiarono della loro emozione, cacciata subito via dal liquido antiappannante.
Taxa bx 72 era riversa al suolo nella polvere rossastra tra le pietre porose.
Un braccio allungato oltre l'elmetto, la mano guantata, dalle otto dita lunghe e affusolate, protesa a cercare l'acqua dello stagno.
Le sue contrazioni muscolari si intravedevano sotto gli strati di politetrafluoroetilene della tuta consunta.
La DeVenne, con estrema gentilezza, si permise di premerci sopra, all'altezza della spalla sinistra, una minuscola ventosa di gomma per monitorare i parametri fisiologici.
- Non capisco! Se non ci sono errori nelle mie valutazioni, il suo organismo sta subendo un processo di mutazione ad una velocità impossibile!-
All'interno degli elmetti dei soccorritori rimbombò la voce del comandante:
- E' colpa nostra. L'abbiamo spaventata!-
- Carlo, non fartene una colpa. Lei non ha mai risposto hai nostri messaggi. Non c'era altro modo,- affermò Sebastian Larsen e domandò poi alla DeVenne:- Che genere di mutazione?-
- Credo abbia inalato dei virus.-
Ad un tratto l'elmetto della tuta di Taxa bx 72 si staccò, rotolando sul suolo polveroso, e i soccorritori, istintivamente, scattarono indietro.
Degli arti sottili, che non avevano nulla di umano, affiorarono all'esterno della tuta. La tuta stessa si squarciò sul dorso con un rumore secco nella rarefatta atmosfera e Taxa bx 72 uscì allo scoperto e si difese dalla curiosità degli invasori coprendosi la grossa testa con le zampe anteriori.
Carlo Wiess cacciò indietro il senso di repulsione e si sforzò di pensare. Di non commettere degli errori che avrebbero pesato sulla sua coscienza.
- Non toccatela!- esclamò. – Deve farcela da sola. Allontaniamoci!-
Taxa bx 72 raggiunse le larghe foglie scure delle piante acquatiche, lasciandosi alle spalle la sua tuta...
Rimase immobile alcuni minuti, vibrando appena di tanto in tanto. Il suo corpo flessuoso, sorretto dalle piante acquatiche, si asciugò al tiepido calore dei tre soli dell'esopianeta 14 OAT b.
- Non capisco come quelle sottili foglie possano sostenerla fuori dall'acqua,- sussurrò la DeVenne.
- Simbiosi...- rispose a bassa voce Sebastian Larsen, facendosi il segno della croce e inginocchiandosi per rispetto verso quella timida creatura.
Poi, la libellula volò via... sulle sue ali trasparenti...

Vincent Bianco