sabato 26 marzo 2016

Quando ogni Eco è un Richiamo



La luce grigio azzurra del primo mattino pareva cementata alle spesse sbarre di acciaio brunito della finestra rettangolare.
Dopo quasi quaranta minuti di assoluto silenzio, constatò Paulo Aba adocchiando l'orologio alla parete, si era finalmente deciso a rispondere a una delle sue domande.
Era stata una domanda personale, gli era uscita spontanea, e non aveva nulla a che fare con il motivo della visita.
- Due metri e otto centimetri,- gli aveva risposto.
Aveva sollevato lo sguardo e aveva aggiunto: - Il numero otto è il simbolo dell'equilibrio cosmico. Sono quegli otto centimetri che mi rendono perfetto.-
Paulo, accennando un assenso, digitò la parola “numerologia” sulla tavoletta.
- Qui dice che l'otto è il numero delle grandi imprese e del pagamento dei propri debiti.- 
- Dipende dai punti di vista,- gli rispose senza scomporsi.
Paulo Aba prese in mano il pacchetto di sigarette che aveva messo sul tavolo e che Miura aveva finto di ignorare.
- Le metto via?- Sapeva che Dario Miura era un nicotinomane e che nel braccio degli isolati non aveva modo di procurarsi del tabacco, almeno così gli aveva garantito il direttore dell'Istituto Penitenziario.
- Se proprio insisti, una la posso fumare.-
Mentre Miura si accingeva al rito del tabacco, Paulo evitò di disturbarlo e, nel frattempo, richiamò la pagina di appunti che si era preparato.
Dario Miura gestiva la sigaretta con una certa eleganza. Il gomito appoggiato al bracciolo di metallo della scomoda poltroncina, le gambe muscolose accavallate.
- Due pacchetti al giorno,- lo informò Paulo.
- Non vendo la mia arte per quaranta sigarette.-
- Ascoltami, Miura. Non è contemplato uno sconto di pena per chi smercia tecnologia wetware senza licenza. Quindici anni non te li toglie nessuno. Soprattutto dopo quanto è accaduto a quella ragazza. Ma potresti farlo per un altro motivo.-
Non gli diede la soddisfazione di chiedere quale fosse il motivo, si limitò ad aspirare un'altra boccata.
Paulo decise di giocare la sua carta migliore.
Si chinò e prese dalla borsa che teneva sotto la poltroncina un astuccio di plastica rigida. Ne estrasse un oggetto dalla superficie nera e scintillante.
- L'altro motivo potrebbe essere la curiosità,- disse, appoggiando l'oggetto patinato in mezzo al tavolo.
Comprese di aver fatto la mossa giusta dall'espressione del suo interlocutore. La maschera di indifferenza, ostentata fino a poco prima, si era disciolta in un amalgama di mal celato stupore e genuino interesse.
- Chi la produce?- domandò Miura, agitando il fumo della sigaretta sopra il ripiano del tavolo.
- Prima di risponderti, lascia che ti faccia una domanda.-
Acconsentì con un lieve gesto della testa rasata.
- Riesci a immaginare perché ci siamo rivolti a te?-
- Perché sono quello bravo,- disse Miura con il tono di chi risponde alla più banale delle domande.
Paulo scoprì gli incisivi in disilicato di litio perfettamente allineati e candidi in una specie di sorriso.
L'intenzione era di accattivarselo, assecondandolo entro certi limiti.
- Lì fuori,- disse, indicando la finestra con le sbarre,- ci sono decine di programmatori wetware che non aspettano altro di collaborare con l'Agenzia. Alcuni dei quali, non molti lo ammetto, sono al tuo livello. Il punto è che se ne stanno... fuori. Con te, invece, abbiamo la certezza che per almeno quindici anni non potrai comunicare con il mondo esterno. Sappiamo che ti permettono di parlare con il tuo avvocato, ma lui sarà dei nostri. E, da quanto ci risulta, non hai parenti con diritto alle visite nel raggio di molte miglia. Quello che verrai a sapere, resterà tra le mura della tua cella e le stanze dell'Agenzia. Sei il soggetto ideale.-
Paulo si rilassò nella poltroncina e incrociò le dita di una mano in quelle dell'altra. Rimase a osservare il suo interlocutore nell'inutile attesa di una reazione.
- Non è merce americana e non sembra di progettazione russa, né orientale...- affermò Miura, ignorando le aspettative della controparte.
Aveva scavallato le gambe avvicinando la poltroncina al tavolo per osservare la scheda wetware a memoria solida che Paulo Aba aveva esibito.
Più che un aggeggio elettronico, sembrava il contenitore di un qualche cosmetico.
Lo scintillio sulla superficie nera era dovuto alla spirale oro-argento incastonata sul frontalino.
- E' qualcosa che viene dal passato, ma che rappresenta il futuro,- disse Paulo, enigmatico.
Tra le volute di fumo, Dario Miura ebbe l'impressione di percepire un vago profumo sprigionarsi dall'oggetto nero e lucido. Allontanò la sigaretta stendendo il braccio e, curvandosi sul ripiano del tavolo, inspirò dilatando le narici: era profumo di vaniglia.
- Raffinati i signori,- affermò in un tono ironico che avrebbe potuto essere di elogio.
- Non ci sono marchi di fabbrica, non sapete chi l'ha prodotta. E' questa l'informazione che vi manca?- chiese, ritornando a godersi la sua sigaretta.
- Ci stiamo lavorando. Non ci servi come informatore.- Paulo Aba interpose una breve pausa e aggiunse: - Ci servi come programmatore.-
In contrasto con i suoi modi da fumatore raffinato, Dario raccolse la saliva nella bocca, girò il viso e sputò sul pavimento.
Era un segnale.
Paulo si mise in allerta. Dario Miura stava prendendo le distanze, e lui non si poteva permettere di perderlo.
- Io non lavoro per nessuno, questo lo sai, altrimenti non sarei qui,- disse Miura, e si passò il dorso della mano sulle labbra.
Paulo Aba annuì condiscendente.
- Non ti chiedo di lavorare per noi. Ti chiedo di lavorare con noi,- rispose.
Poi, puntò l'indice sulla sottile scatola nera.
- La configurazione di base è semplice, ma non riusciamo a gestirla. Credimi, ti stupirà.-
- Uhm...- Dario gettò la sigaretta e la calpestò con la suola di iuta dell'alpargata.
Soprappensiero, guardò il soffitto della stanza dei colloqui. Con gesti lenti e controllati prese un'altra sigaretta. L'accese, ritornando a osservare le travi di cemento del soffitto. 
- Astice alla busara a pranzo e cena?- domandò, come se si rivolgesse a qualcuno lassù, oltre il soffitto.
- Certamente.-
- Con le tagliatelle fatte in casa?-
- Assumeremo il cuoco del migliore ristorante di Malindi.-
- Malindi?-
- Sì, certo. Perché è lì che andremo,- lo informò Paulo, e seguitò: - E' essenziale, quindi inevitabile, che tu conosca la persona da cui tutto ha avuto inizio.-


Gli permisero di indossare i suoi jeans preferiti e la t-shirt con stampato sul petto il nome della tribù maori della nonna materna, Ngati Toa, e, sulle spalle, il nome del ristorante italiano che la sua famiglia, a partire dal nonno paterno oriundo emiliano, gestiva a Matamata in Nuova Zelanda: “Il Tortellino Express”.
L'albero genealogico di Dario Miura non si limitava a queste due etnie così lontane geograficamente. Nel suo DNA c'erano tracce del senso dell'onore giapponese, dell'orecchio germanico per la buona musica e della sensualità francese.
Si definiva un bastardo purosangue. E bastardo a volte lo era.
Come esige la procedura, prima di scortarlo fuori dal carcere, un agente governativo gli serrò le manette ai polsi. Dario non ci avrebbe mai fatto l'abitudine. L'altro agente gli mise le cavigliere. E si apprestavano a mettergli la maschera anti-sputo, che gli avrebbe coperto naso e bocca, che Dario scostò il viso.
- Fermatevi!- gridò ai due governativi, e aggiunse: - Riportatemi nella mia cella.-     
Intervenne Paulo Aba: - Ragazzi, suvvia! Non è un serial killer. E' un programmatore.-
Gli risparmiarono l'umiliazione della maschera.
Ma fu sul volo dal Nord Adriatico alle coste del Kenia che Dario Miura si rese dolorosamente consapevole della sua vulnerabilità.
- Sulle linee aeree con equipaggio italiano non è abitudine chiamarle hostess, ma assistenti di volo,- lo informò Paulo Aba.
- Intendi dire che l'ha presa male?-
Paulo scosse il capo come se il fatto fosse del tutto irrilevante.
- Quindi devo dire: scusi, assistente di volo, mi porterebbe un altro caffè?-
- Meglio se la chiami signorina.-
- Lady?-
- Sì, va bene,- acconsentì Paulo.
La lady ritornò con il caffè e la salviettina. Si chinò su di lui, per nulla intimorita dal tintinnio delle catene, e sussurrò: - Io sono Agnese. Se ha bisogno di qualcos'altro mi chiami.-
Un gesto gentile che lo fece annaspare dentro quegli occhi marrone dalle ciglia lunghissime e nere.
Ingollò il caffè bollente.
Si rilassò nel comodo sedile, chiuse gli occhi e l'assistente di volo ritornò sui propri passi in abito da sposa.
A Dario Miura tremavano le mani e non era per la troppa caffeina, né per il desiderio sessuale. Era un colpo di fulmine.
Vulnerabile come un cucciolo di foca,” si disse, riprendendo il controllo di sé e asciugandosi sulla spalla quella che non poteva essere una lacrima, ma la condensa del bicchiere.
Sbarcò dall'aereo guardando basso, non poteva permettersi di annegare ancora in quegli occhi mediterranei.
Un crossover SUV con il propulsore fuel cell a idrogeno, e lo stemma dell'ASI su cofano e portiere, li attendeva nell'aria calda e ventilata all'uscita del piccolo aeroporto di Malindi.
Raggiunsero il Centro Spaziale Italiano e, sbrigate le procedure di controllo, vennero scortati fino a un basso edificio in calce circondato da cespugli di bouganville dalle brattee di un morbido colore viola.
Sopra le loro teste due gigantesche antenne paraboliche oscuravano il cielo africano di un azzurro terso.
Dario Miura fischiò tra i denti.
- Con una di queste riuscirei a contare i peli del naso degli dei!- affermò.
Paulo Aba scosse il capo disapprovando e lo invitò a seguirlo all'interno dell'edificio.
Dario strascicava esageratamente i piedi per far notare ai suoi accompagnatori il disagio delle cavigliere, ma quelli lo ignorarono.
Percorsero un corridoio costeggiato da scrivanie e computer sotto gli sguardi in tralice del personale addetto alle operazioni di telerilevamento e Paulo aprì l'ultima delle porte servendosi di una scheda magnetica.
- Non ci sono altre uscite, ci aspetterete qui fuori,- ordinò agli agenti governativi della scorta. - Toglieteli le manette, ma lasciategli le cavigliere.-
Rimasti da soli in un'angusta stanzetta priva di finestre, Paulo gli indicò l'unica poltrona dell'unica scrivania.
- Siediti, leggi e firma. Poi andiamo a mangiare.-
Dario Miura lesse le dodici pagine dell'impegnativa che lo obbligava all'assoluto divieto di rivelare a persone non autorizzate quanto avrebbe appreso all'interno del Centro Spaziale.
Se non avesse rispettato gli accordi di segretezza, sarebbe stato accusato del reato di alto tradimento, previsto nel secondo libro del Codice Penale, sotto la voce: Delitti contro la personalità dello Stato. E le pene elencate erano severe.
Dario firmò il documento senza battere ciglio. Non era spaventato, bensì incuriosito.
Una volta fuori dalla stanzetta claustrofobica si recarono alla mensa.
Paulo scelse un tavolo appartato per avere la possibilità di parlare liberamente e ordinò agli agenti della scorta di accomodarsi a una certa distanza.
- Ho telefonato al cuoco. Di solito, mantengo le promesse,- affermò in risposta all'espressione di beatitudine apparsa sul volto di Dario Miura mentre un inserviente indigeno gli serviva su un piatto ovale un astice squartato a metà, contornato da tagliatelle dall'aspetto casereccio.
- Spero tu faccia altrettanto,- aggiunse Paulo, sistemandosi il tovagliolo.
- Non ho intenzione di scappare. Se è questo a cui alludi.-
Dario Miura centellinò il vino, un Sauvignon Goriziano di ottima qualità, non mancando di sollevare il calice verso i due agenti governativi che pasteggiavano ad acqua minerale.
- Mikeze e Jakeze sembrano tristi,- affermò con un leggero cenno del capo nella loro direzione.
- Mike... Che cosa?- chiese Paulo Aba.
- Digita i due nomi sulla tua tavoletta e capirai il perché.-
Paulo evitò di assecondarlo e per il resto del pranzo rimasero in silenzio.
Poi, ordinarono il caffè.
- Se hai bisogno di farti una doccia e di riposare un paio d'ore, ti accompagno al tuo alloggio,- gli propose.
- Grazie, sono a posto,- rispose Miura.
Paulo attese che l'inserviente sparecchiasse.
- Prima di accompagnarti dalla persona di cui ti ho accennato, è importante che ti metta al corrente di certi fatti.-
Dario Miura annuì, sorseggiando il caffè, lungo e con molto zucchero, come piaceva a lui.
- Posso fumare?-
- Non sarebbe permesso, ma chiuderò un occhio.-
Dario sorrise e tolse dalla tasca dei jeans il pacchetto stropicciato di Lucky Strike.
Al duty free dell'aeroporto, Paulo gli aveva comperato due stecche che Dario aveva riposto nel trolley acquistato nello stesso negozio.
- Suppongo che tu sappia come funziona una vela magnetica,- affermò Paulo.
- Sì, anelli superconduttori che deflettono le particelle del vento solare.-
- Esatto. Il problema maggiore di questo tipo di propulsione è l'instabilità del plasma.-
- A quanto ne so,- disse Dario, - l'unico prototipo di nave automatica a propulsione eliomagnetica è esploso prima di raggiungere la base di Marte.- 
- Purtroppo è così,- ammise Paulo. - Il sistema di navigazione non è stato in grado di gestire l'emergenza dovuta a una tempesta solare. Gli anelli superconduttori si sono surriscaldati e il veicolo spaziale è andato perduto.-
- Sono sempre stato dell'idea che un essere umano a bordo può fare la differenza,- affermò Dario Miura.
Paulo allisciò il bordo della tovaglia con la punta delle dita.
- E' un problema di costi. I sistemi di supporto vitale fanno lievitare i budget.-
- Evitando quei costi hanno forse risparmiato?- chiese Dario nel suo tono ironico, guardandolo di sottecchi.
Paulo Aba sorrise con l'intenzione di compiacerlo.
- Ora,- proseguì, pretendendo tutta la sua attenzione. - Ti parlerò di un'applicazione per l'interfaccia tra cervello umano e sistema di navigazione di una nave interplanetaria...-
Dario Miura lo interruppe, inarcando la schiena e lanciando l'accendino sul tavolo, come infastidito.
- Mi hai portato qui per rubarmi il programma a cui stavo lavorando prima che mi sbattessero al fresco?- domandò con la sensazione di essere stato un ingenuo a non aver capito la subdola intenzione dell'uomo.
- No, Miura. Ti puoi fidare, non si tratta di questo.-
Nonostante la rassicurazione, Dario non si sentiva a suo agio. Come se quel Paulo Aba, responsabile incaricato della sorveglianza e delle valutazioni delle nuove linee di attività dell'Agenzia Spaziale Italiana, gli stesse tessendo intorno una rete invisibile.
- Un'anonima fornitrice, la persona di cui ti accennavo, ci ha consegnato un'applicazione per cabine di pilotaggio wetware,- continuò Paulo, ignorando il punto interrogativo apparso nell'espressione del suo interlocutore. - Sto parlando di alta tecnologia. Collegamento diretto tra cervello e comandi di una nave interplanetaria con una velocità di acquisizione dati e immagini mai raggiunta prima.-
Dario ci pensò sopra, poi disse: - E avete perduto il libretto delle istruzioni...- il tono era cantilenante.
Paulo si lasciò sfuggire una risata in disilicato di litio che, nonostante la protesi, a Dario sembrò sincera.
- No, ma abbiamo incontrato delle difficoltà nel comunicare con la nostra fornitrice,- ammise. Si allentò il nodo alla cravatta e guardò negli occhi il suo interlocutore.
- Uno dei nostri piloti, utilizzando la scheda che ti ho mostrato, è entrato nella cabina wetware. E... diciamo... che ne è uscito piuttosto scosso e confuso.- Paulo Aba prese un respiro. - Abbiamo bisogno di te, Miura.-


Dalla mensa, percorrendo uno stretto viottolo all'ombra delle gigantesche antenne paraboliche, Paulo accompagnò il suo ospite in una sala riunioni dove c'erano due persone intente a guardare un olomonitor sistemato su un tavolo circolare.
- Per evitare situazioni di imbarazzo da entrambe le parti,- lo informò Paulo sulla soglia della sala, - ho deciso di prepararti all'incontro facendoti vedere una conversazione registrata con la nostra fornitrice di tecnologia wetware.-
Miura aggrottò le sopracciglia, chiedendosi cosa avesse voluto dire il responsabile dell'ASI.
Quale imbarazzo? Forse quello delle cavigliere elettroniche che si ostinavano a non togliergli?”
Se ne stette zitto e seguì Paulo Aba che gli presentò le due persone che osservavano la nuvola di luce ologrammata. Erano la dottoressa Ongaro e il professor Maurius. Rispettivamente biologa e psicologo.
Dario strinse la mano destra della dottoressa e, con lo sguardo, seguì il movimento della mano sinistra della giovane donna che lo invitava a guardare la sagoma umana ologrammata.
- Abbiamo tolto l'audio perché stiamo analizzando le gestualità del soggetto,- disse la biologa ai nuovi arrivati, - ci aiuta a concentrarci,- precisò.
- La dottoressa Ongaro e il professore Maurius si stanno prendendo cura di Pearl,- lo informò Paulo, e seguitò: - E' così che si chiama. Pearl.-
Le hanno dato questo nome per la sua carnagione,” pensò Dario che stava osservando il corpo ologrammato.
Con la voce che gli uscì di un tono più basso, domandò: - E' femmina?-
- Sì,- rispose la biologa.
- E' una...- Dario stava per concludere la domanda che mai si sarebbe immaginato di dover pronunciare, quando la dottoressa Ongaro, leggendogli nel pensiero, lo tolse da quell'imbarazzo: - No, non lo è. Non si preoccupi, signor Miura, lei non è il primo a pensarlo. Abbiamo sequenziato e analizzato il DNA di Pearl. E' umana quanto noi, anche se in fase embrionale ha subito delle pesanti modifiche genetiche.-
Dario Miura non riusciva a staccare gli occhi dalla sagoma di luce sospesa al centro del tavolo.
Represse quella particolare attrazione provocata dal senso di disgusto e scostò lo sguardo.
- E' la gente che fa queste cose che dovrebbe essere sbattuta in carcere,- lo disse per scaricare la rabbia che stava montando dentro di lui.
- Sono d'accordo con lei, signor Miura,- affermò la biologa.
Paulo Aba si intromise: - L'Interpol, con l'aiuto dei satelliti, sta cercando di rintracciare il laboratorio dal quale è scappata.-
- Perchè?- domandò Miura, rivolgendosi al responsabile dell'ASI che inclinò il capo, non certo di aver compreso la domanda.
- A quale scopo?- precisò Miura.
- Sediamoci...- lo invitò Paulo Aba. - Dottoressa spenga il monitor, per cortesia.-
La nuvola di luce svanì. Nell'aria rimasero per qualche secondo gli occhi neri della figura umana che fissavano il vuoto.
- L'hanno trovata su una spiaggia poco frequentata sulle coste della Toscana. Era da sola e in evidente stato confusionale,- esordì Paulo Aba, e continuò: - In un certo senso, è stato un colpo di fortuna che la coppia di anziani che l'ha
incontrata, abbia supposto quello che devi aver supposto tu, Miura. La stessa ipotesi dei poliziotti che l'hanno assistita nelle prime ore del ritrovamento, e del Prefetto che ha deciso di mantenere l'assoluto riserbo sulla faccenda e, dopo aver informato il Ministro e ottenuto il suo consenso, di rivolgersi a noi. Questo ci ha permesso di averla in affidamento subito dopo la visita medica al Pronto Soccorso. In seguito, sia alla coppia che l'ha incontrata sulla spiaggia, che alla pattuglia della Polizia è stato detto che dagli accertamenti avevamo appurato che la ragazza, eludendo gli assistenti, era incautamente uscita da un ospedale per disabili con gravi malformazioni dalla nascita e si era perduta. Abbiamo preferito evitare di riferire pubblicamente quanto sospettavamo.- Paulo Aba volse lo sguardo alla biologa. - Sospetti poi confermati dalla dottoressa Ongaro. E cioè che fosse scappata da un laboratorio di ingegneria genetica clandestino.-
Paulo Aba, notando il sogghigno di Dario Miura, sollevò le sopracciglia in una muta domanda.
- Niente, niente,- rispose Miura. - Avrei voluto vedere la faccia del Ministro quando lo hanno informato sul ritrovamento di un'aliena. Perché è questo che tutti hanno pensato, no?-
Paulo annuì.
- Comunque non sono da biasimare. Oltre all'aspetto, Pearl indossava una tuta monopezzo da pilota con tanto di stemma,- rispose.
Dario Miura si fece pensieroso.
- Quale stemma?- domandò.
Paulo Aba evitò di rispondere e guardò nella direzione del professor Maurius.
- Il professore può risponderti in modo più esaustivo di quanto lo possa fare io,- affermò.
Lo psicologo si accarezzò i folti baffi sale e pepe, e unì la punta delle dita davanti al petto.
- Lo stemma è evidentemente fittizio. Nessuno è in grado di mantenere segreto il sito di un'agenzia spaziale. Neanche se lo costruissero nel sottosuolo al Polo Nord.- Il professore squadrò Dario Miura che piegò le labbra in una sottile smorfia.
- E' invece fattibile mantenere segreto un laboratorio dove si sperimentano tecnologie avanzate da vendere alle agenzie aerospaziali. Un po' come faceva lei, signor Miura, prima che la arrestassero...- Il disprezzo del professore trasparì dal tono della voce.
Dario Miura non diede alcun segno esteriore di disagio, al contrario, sembrò lusingato da quell'affermazione.
- Per farle capire l'importanza del nostro essere qui, mi permetta di dirle una cosa, signor Miura,- continuò lo psicologo. - Non ho potuto fare a meno di notare il suo disgusto nell'osservare l'ologramma di Pearl. Mi è sembrato evidente che anche lei, come tutti noi, non ha dubbi sul criticare l'operato di queste persone.- Lo psicologo attese inutilmente una conferma dalla controparte, quindi continuò come se l'avesse avuta: - Ci stringe il cuore nel vedere cosa sono riusciti a fare a un feto umano. A quella povera ragazza nata in un laboratorio clandestino,- affermò con sdegno lo psicologo. - Ma questo accade oggi.- Il professore Maurius si permise una pausa ad effetto, e seguitò: - Cosa accadrà il giorno in cui questi signori si presenteranno sul mercato aerospaziale offrendo i loro piloti in grado di sopportare accelerazioni ben al di sopra della media? A bordo di navi interplanetarie capaci di raggiungere la Stazione di Marte in meno di una settimana? Siamo sicuri che riusciremo a fermarli?- Il professore scosse il capo. - No, io credo di no.-
Dario Miura si grattò la testa rasata, come soprappensiero, poi chiese: - Professore, sta insinuando che è tutta colpa mia?-
- Al contrario, signor Miura, sto cercando di farle capire quanto lei sia importante per noi.- Il professore fissò Dario con cupa intensità e aggiunse: - Da quanto mi hanno riferito, lei potrebbe essere in grado di entrare nel sistema di navigazione che i carcerieri di Pearl hanno progettato. Capire il funzionamento e tradurlo in informazioni utili per rintracciare questi sciagurati e assicurarli alla giustizia. Mi creda, le garantisco tutto il mio appoggio,- concluse il professore Maurius.
Le sopracciglia di Dario Miura formarono un arco perfetto, mentre il suo sguardo si spostava dal professore al responsabile dell'ASI, Paulo Aba, che, interpretata l'espressione di Miura, gli rispose con un rassicurante gesto della mano che stava a significare: ne parliamo dopo.
Il professore Maurius aveva appena contraddetto quanto Paulo Aba aveva affermato prima che prendessero l'aereo per Malindi: Non avevano bisogno di un informatore, bensì di un programmatore.
Il lavoro, che Dario avrebbe dovuto svolgere, avrebbe comunque compreso entrambi i ruoli, ma appariva evidente che il responsabile dell'ASI era più interessato a impossessarsi del pacchetto di conoscenze tecnologiche che ad assicurare alla giustizia dei criminali.
Dario Miura sorrise tra sé, era stato proprio il conflitto di interessi all'interno delle aziende che lo aveva spinto a lavorare in proprio.
Abbandonò quel pensiero e, rivolgendosi allo psicologo, chiese: - Stemma fittizio, significa?-
Il professore posò le mani sul ripiano del tavolo, le chiuse a pugno e prese un profondo, meditato respiro.
- Significa che nel caso di Pearl, usare parole come “detenzione restrittiva e lavaggio del cervello” è riduttivo. La prima domanda della ragazza alla coppia di anziani che ha incontrato sulla spiaggia è stata: “ Su quale esopianeta siamo?” Non sapeva di essere nata sulla Terra. Pearl era convinta di essere cresciuta su una nave interplanetaria. Questo ci fa supporre che non ha mai avuto contatti con il mondo esterno. L'hanno tenuta segregata fin dalla nascita, rinchiusa in un laboratorio clandestino che la ragazza pensava fosse un veicolo spaziale. Deve considerare, signor Miura, che dal punto di vista di Pearl, non è lei quella diversa, ma lo siamo noi. E' tuttavia consapevole della sua deformità, la cui causa, a quanto ci ha confidato, è dovuta all'aggressione di un ...-
Lo psicologo scostò lo sguardo di lato, verso il basso, nel tentativo di ricordare il termine usato da Pearl.
La dottoressa Ongaro venne in suo aiuto: - Lo ha chiamato: Plasmanero,- suggerì, e si rivolse poi a Dario Miura: - Una forma di vita aliena che non riflette lo spettro elettromagnetico e si nutre dei vicini infrarossi emessi dagli esseri umani, è così che l'ha definito. La ragazza è convinta che sia stato questo ipotetico essere a modificarle il genoma. Non immagina minimamente di essere stata manipolata per tutta la vita da un equipe di ingegneri genetici e psicologi al di fuori della legalità.-
- Avete iniziato a spiegarglielo?- domandò Miura alla dottoressa.
- Sì. Con estrema cautela per evitarle uno shock. La sua psiche è molto delicata e i suoi sensi molto acuti. L'abbiamo sottoposta ad alcuni test. E' in grado di distinguere i vicini infrarossi e sentire gli ultrasuoni tra i venti e i duecento chilohertz. Dalle analisi eseguite posso affermare con quasi assoluta certezza che ha sviluppato quest'ultima dote quando era ancora un feto nella pancia della madre,- la dottoressa prese un respiro. - I tempi di reazione del sistema nervoso di Pearl sono superiori alla media. E' intelligente, molto intelligente, eppure quello che stupisce di più è che sotto certi aspetti è rimasta una bambina.-
- Deve aver avuto ben poche possibilità di evolversi socialmente dentro una scatola!- esclamò Dario Miura.
- Non è questo che intendevo, signor Miura, sono una biologa, il sociale non è propriamente il mio campo,- disse la dottoressa Ongaro e si spiegò: - Durante uno dei test, Pearl ha continuato a rispondere alle nostre domande nonostante l'elettroencefalografia indicasse che fosse in fase Delta. Per gli adulti, come lei saprà, è impossibile rimanere coscienti in questo stadio. Soltanto i bambini ci riescono e Pearl non è più una bambina, è una ragazza.-
Dario non sembrò stupito da quanto la dottoressa gli aveva appena riferito, si limitò ad annuire.
- In sanscrito lo chiamano Samadhi. Essere uno con l'Universo. Praticamente sognare da svegli come gli yogi,- affermò.
A queste parole, la dottoressa Ongaro e il professor Maurius si scambiarono un'occhiata.
- Samadhi... Pearl ha usato lo stesso termine,- affermò il professore.
Anche Paulo e Dario si scambiarono un rapido sguardo. Lo sapevano entrambi: mantenere le onde cerebrali degli astronauti nel quarto stadio del sonno, e cioè in fase Delta, significava risparmio di ossigeno e glucosio durante la permanenza a lungo termine nello Spazio.
- Questa... Pearl... parla la lingua indiana?- domandò Miura.
La dottoressa Ongaro scosse il capo.
- Pearl ci ha confidato che sulla sua nave si parlava...- La dottoressa consultò la tavoletta che teneva sul tavolo. - ...il dialetto Kuja. Una sorta di idioma per le comunicazioni tra le navi interplanetarie. La ragazza ci ha riferito di una flotta di trenta veicoli spaziali che in realtà potrebbero essere dei laboratori clandestini legati a una stessa rete e sparsi in diverse Nazioni del Mondo. Ci siamo consultati con un equipe di glottologi. Il Kuja è una specie di codice di facile interpretazione. E' composto da vocaboli di diverse lingue legati insieme da una grammatica simile a quella della lingua inglese. Dalle registrazioni dei primi due giorni di frequentazione, è risultato che Pearl era in grado di comprendere il nostro inglese, le nostre domande. Noi, invece, non capivamo le sue risposte. L'incredibile è che in meno di una settimana, la ragazza, dimostrando una sorprendente elasticità mentale, ha modificato il suo modo di esprimersi e si è limitata all'uso di vocaboli di lingua inglese, permettendoci di comprenderla.-
Dario Miura sorrise.


Giove si avvicina a Venere. Il gigante dei pianeti accarezza il piccolo corpo celeste che per noi ha l'aspetto di una stella, la più luminosa del cielo.
Tutto dipende dal punto di vista,” elucubrava Dario Miura, entrando nel simulatore dove c'era Pearl.
Dario aveva trascorso la notte in una stanzetta munita di una grata di acciaio alla finestra e di una doppia serratura alla porta.
Uno degli agenti della scorta lo aveva finalmente liberato dalle cavigliere e Dario, in attesa che il fabbro indigeno finisse di sistemare la grossa serratura avvitandola alla porta di ferro, si era seduto sul letto massaggiandosi gli stinchi.
Dagli esagoni di acciaio della grata aveva osservato le stelle di un altro cielo che non era quello dell'estremo nord est italiano al quale si era abituato.
Quando ancora lo poteva guardare il cielo, nelle pause delle lunghe notti di lavoro.
Poi il carcere: agitazione, isolamento, paura.
Negli ultimi mesi di detenzione, Dario Miura aveva quasi toccato il fondo di una profonda crisi depressiva molto pericolosa.
Nonostante le infinite ore di solitudine tra le mura della prigione, gli era stato difficile raggiungere quel senso di quiete di cui aveva bisogno.
C'erano stati dei momenti in cui aveva desiderato che il vivere quotidiano del carcere si fermasse, o almeno rallentasse, come il lento arco tracciato dalle stelle, permettendogli di restare immobile e senza pensieri.
La conta del mattino, quella del pomeriggio e della sera. Le aspre grida dei detenuti che scaturivano dai peggiori incubi notturni e rimbombavano nel corridoio comune.
Lo stivale all'altezza del suo viso quando all'alba di ogni dannato giorno la guardia controllava le sbarre alla finestra sopra il letto, battendole, ferro contro ferro, svegliandolo di soprassalto.
La costante delusione di un pasto sciatto.
Nel febbrile sconforto, si era chiesto cosa sarebbe rimasto di lui dopo quindici anni di quella vita.
Aveva abbandonato il gregge dei programmatori stipendiati alla ricerca della libertà. Lo avevano braccato e infine rinchiuso.
Non ci sono sconti di pena per chi ha cercato la libertà.
Si era chiesto come facesse a intrufolarsi nella sua cella quel raggio di Luna. Una striscia di luce pulita. Avrebbe potuto imitare la Luna. Strappare una striscia di lenzuolo, annodarla alle sbarre, appendersi. Trasfigurarsi in un raggio di Luce Diafana nella notte stellata. E' che gli mancava il coraggio, porca miseria...
Una leggera forzatura alla sua indole meschina, e il coraggio lo avrebbe trovato, ne era sicuro. Con la prossima Luna, aveva deciso. Però, il raggio di Luna, che lo avrebbe portato con sé, era stato anticipato da una spirale oro argento che sapeva di vaniglia, il profumo degli Dei Aztechi.
L'odore delle stelle.
Era lì, nel simulatore e lo stava guardando.
Il gigante Giove incontra la piccola Venere.
Era davvero piccola.


- Sei molto grande!- la voce di Pearl era femminile e graffiante.
- Due metri e otto centimetri,- rispose Dario e, aprendo pollice e indice all'altezza della fronte, aggiunse: - Ma sono questi otto centimetri a rendermi perfetto.-
Continuava a fissarlo con un'espressione di stupore.
- Pensavi di essere l'unica a essere stata modificata?- le domandò.
- No,- rispose candidamente Pearl.
Dario annuì, curvandosi nella poltroncina e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
- I miei avi ci hanno dato dentro di brutto per mescolarsi tra loro. Ci sono voluti anni di scopate. Finché, con me, hanno raggiunto l'apice della perfezione procreativa,- le spiegò con il tono misurato di chi sa quello che dice.
Paulo Aba lo stava guardando e dava l'impressione di essere molto contrariato.
- Wob! Wob! Wob!- Pearl ripeté lo strano verso formando un cerchio con le sottili labbra bluastre. L'esile corpo che si scuoteva.
Preoccupato, Dario guardò nella direzione della dottoressa Ongaro seduta al fianco della strana ragazza.
- Lei ride così,- lo informò la biologa a bassa voce, e accarezzò la nuca di Pearl, che si acquietò.
- Nel nostro caso, siamo come una barboncina nana e un mastino,- proseguì Dario, spezzando il silenzio che si era venuto a creare, e ritornando a fissare quelle iridi di un nero scintillante nel mezzo delle quali gli era impossibile scorgere le pupille. Nemmeno la sclera bianca dell'occhio era visibile.
Comprese, dall'immobilità della ragazza, di non essere stato capito.
- Sono razze di cani, una molto piccola e l'altra molto grande. Sai almeno chi sono i cani?- le domandò.
- Animali terrestri, mammiferi placentati, quadrupedi, carnivori. Discendono dai lupi,- rispose Pearl.
Dario Miura sorrise, ci pensò sopra, formò un cerchio con le labbra e imitò il verso di Pearl: - Wob!-
La ragazza gli stava osservando le mani, non c'erano tavoli tra di loro e le poltroncine nelle quali avevano preso posto non sembravano appartenere al simulatore, ma disposte provvisoriamente per l'occasione.
- Cosa ti sei fatto ai polsi?- gli chiese con la sua voce graffiante.
Dario esibì una faccia stupita. L'aveva preso alla sprovvista.
Per non impressionare la ragazza, al mattino non lo avevano ammanettato e non gli avevano messo nemmeno le cavigliere.
Si guardò i polsi, non c'era traccia di arrossamento.
- Mi piacciono i braccialetti, quelli pesanti,- mentì. - Sono ornamenti di metallo,- precisò.
- Li usiamo anche noi,- rispose Pearl e dai polsi passò a guardarlo in viso.
In una quasi impercettibile oscillazione del capo, lo scintillio delle iridi nere si fece più intenso.
Sa che le ho mentito,” pensò Miura, abbassando lo sguardo alle labbra bluastre della ragazza.
Nell'atmosfera della piccola cabina quella menzogna appariva tangibile. Più che vederla nell'imbarazzata apprensione dei presenti, si percepiva come la scarica luminosa di una sfera al plasma.
Eppure, la menzogna, invece di allontanarli, li aveva uniti. La sua luminosità così evidente aveva perforato la nube interstellare di gas ionizzato e Giove era riuscito a vedere Venere nella sua interezza.
La pallida carnagione madreperlacea, la testa liscia come di una bambina nata senza capelli, il naso piccolo e camuso, la piega a mezza mandorla degli occhi dalle iridi nere, sprovvisti di ciglia e sopracciglia. Le dita delle mani lunghe e gentili, prive di unghie. Le labbra sottili che ora teneva socchiuse permettendogli di vedere le gengive di un bianco latteo, dal bordo affilato, idonee a triturare il cibo.
Nella mente di Dario Miura, ogni giudizio, ogni preconcetto e prevenuto pensiero si erano disintegrati.
Questa era Pearl, viva e consapevole.
E Venere? Cosa stava pensando dello sconosciuto?
Beh, gli occhi di Venere potevano scrutare attraverso le nubi interstellari.
Da subito aveva saputo che il gigante dalla carnagione scura era sperduto quanto se non più di lei.


Paulo Aba non concesse loro altro tempo e, rivolgendosi a Pearl, le chiese con gentilezza di accompagnare il nuovo arrivato nella cabina wetware, e di illustrargli il funzionamento dell'applicazione S.W. per il sistema di navigazione come aveva fatto qualche giorno prima con il pilota di stanza presso il Centro Spaziale.
Le tute sensoriali, che Pearl e Dario indossarono, erano state raffazzonate alla ben e meglio. Il guardaroba del Centro Spaziale non prevedeva né taglie mignon né super extra large.
I due si sistemarono sui sedili sensoriali e quattro tecnici aerospaziali, nelle loro impeccabili camicie grigio-azzurre, con lo stemma dell'ASI sul pettorale, li aiutarono ad allacciare le cinghie che li avrebbero immobilizzati, impedendo ai loro corpi di assumere posizioni che avrebbero potuto ostacolare la circolazione sanguigna.
Nelle apposite fessure delle tute vennero collegati gli spinotti delle piastre transdermiche attraverso le quali sarebbero stati nutriti e idratati durante le ore di volo virtuale.
Dario piegò il capo in avanti per permettere a uno dei tecnici di infilargli il casco con incastonate le sonde neuronali di superficie che avrebbero avuto il compito di intercettare, decodificare e inviare al sistema di navigazione i messaggi dei neurotrasmettitori rilasciati dalle vescicole sinaptiche del suo sistema nervoso.
All'interno del casco, intervallati alle sonde neuronali, erano impiantati gli stimolatori collegati al circuito neuro-elettronico che lo avrebbe tenuto costantemente informato sull'avionica: comunicazioni, rotta, velocità, temperature del propulsore ed eventuali avarie programmate nel corso della simulazione.
Il tecnico gli assestò sul viso la maschera a ossigeno, ma la sollevò qualche secondo dopo perché Dario aveva girato il pollice verso il basso.
- C'è qualcosa che non va nel mio ossigeno.-
- E' stata la signorina Pearl a chiederci di aromatizzare l'ossigeno con la vaniglia,- lo informò il tecnico.
- Uhm! Raffinata la signorina,- sussurrò Dario Miura, strizzando l'occhio all'uomo.
Degli inservienti portarono fuori dal simulatore le poltroncine che avevano occupato poco prima, e la morbida luce delle lampade a induzione si affievolì gradualmente.
Paulo Aba fu l'ultimo a uscire e richiuse personalmente il portello alle sue spalle.
- Mi raccomando, non muovetevi da qui per nessun motivo,- ordinò ai due agenti della scorta che presero posto sul corridoio di ingresso.
Nella luminosità lampeggiante dei diodi delle tute, Dario, con la coda dell'occhio, sbirciò la piccola figura infagottata, semidistesa sul sedile al suo fianco.
Pearl ricambiò con una fugace occhiata e Dario sollevò il pollice.
Una voce maschile e autoritaria si impose tra loro: - Sono Mayen, l'ingegnere che vi seguirà durante questa simulazione di volo in tecnologia wetware. Vi informo che mancano trenta secondi alla connessione.-


- Scommettiamo che avrò finito l'ultimo dei miei esercizi, quando tu sarai ancora in una nuvola di vapore?- propose Dario alla sua compagna di viaggio.
- Scommessa...- sussurrò tra sé Pearl come se cercasse di ricordare il significato di quel vocabolo. - Non ho denaro per scommettere,- rispose.
- Non scommetto mai per denaro, ma per la soddisfazione di vincere,- la informò Dario.
- Signor Miura,- si interpose Mayen dalla sala di controllo, - la pregherei di limitarsi alle procedure e tenere per sé le sue bizzarrie.-
Dario sogghignò.
- Ecco perché americani e russi sono più avanti di voi in fatto di tecnologia. Non è solo una questione di investimenti. Loro sono più bizzarri!- rispose.
Nelle cuffie dei caschi si sentì la leggera risatina di una delle assistenti di Mayen.
- Cinque, quattro, tre, due,- scandì la voce dell'ingegnere elettronico.
- Connessione effettuata. Avete trenta minuti da ora per commutare in wetware,- sentenziò.


Dario aveva sedici anni quando suo nonno, lo chef italiano, titolare del ristorante “ Il Tortellino Express” di Matamata, lo aveva portato in gita nella Capitale del New Zeland.
In quei giorni, a Wellington, si teneva un'importante fiera della tecnologia e i due ci erano andati.
Dario era piuttosto timido da ragazzo, era stata la gentile insistenza di una bellissima hostess a convincerlo (dopo un breve controllo medico eseguito in uno stanzino nell'area riservata all'alta tecnologia d'avanguardia), a lasciarsi infilare quel casco costellato di diodi a luce intermittente che aveva cambiato la sua vita.
Di ritorno al ristorante, aveva informato la famiglia delle sue intenzioni. Non avrebbe seguito la carriera del nonno e di suo padre, ma sarebbe diventato un programmatore wetware.
E lo diventò.


Dario Miura percepì le debolissime scariche elettriche, il tremolio involontario del capo, il processo di astrazione era avviato.
Il suo cervello iniziava a elaborare le informazioni degli stimolatori neuro-elettronici che avrebbero modellato il suo corpo wetware.
Passo dopo passo, avrebbe dimenticato il corpo fisico, mentre l'illusorio corpo creato dalla tecnologia wetware avrebbe predominato.   
Si rilassò nel sedile sensoriale, chiuse gli occhi e, tra fumosi filamenti di un verde chartreuse, riconobbe la stanza di compensazione dove avrebbe svolto gli esercizi per compattarsi.
Vedeva la stanza virtuale, anche se sfuocata, ma non vedeva se stesso. Provò ad allungare le braccia per guardarsi le mani che non c'erano.
In realtà non c'era nulla, era immerso nel nulla se non nei campi bioelettrici generati dal suo cervello e stimolati dal remote neural monitoring del sistema di navigazione simile a quello installato sui veicoli spaziali.
Privata del corpo fisico, la consapevolezza dell'essere umano correva ai ripari e, in modo del tutto naturale, ne modellava una copia ricorrendo alle memorie dell'RNA, trasformando i campi elettromagnetici in sensazioni e immagini.
Lo scenario wetware si stava formando intorno a lui, al suo corpo che era ancora una bolla consapevole di fievole luce ambrata.
Al primario senso della vista si aggiunsero i suoni ancestrali, l'equilibrio, l'odorato, il pizzicore alle dita delle mani e dei piedi. 
Dario sentì di riacquistare la forza nelle braccia, la flessibilità nelle ginocchia e ne approfittò per stendersi a pancia in giù sul pavimento della stanza impegnandosi negli esercizi di flessione.
Sbuffò e sollevando il capo la cercò.
- Ti vedo Bimba!- la informò, consapevole di vederla perfettamente compattata, quando lui era ancora allo stato larvale, una mezza nuvola vaporosa.
Pearl aveva concluso la scansione tridimensionale del suo corpo e lo stava aspettando con le braccia incrociate sul petto, le gambe leggermente divaricate.
- Mi dispiace,- disse lei, la voce era femminile e graffiante del tutto simile a quella naturale.
- Ehi! Non è merito tuo se hai vinto la scommessa. Il fatto è che tu hai ben poco da compattare. Io devo lavorarmi una notevole massa muscolare. Comprendi?- La risposta era ragionevole, la voce wetware, però, non era ancora ben modulata e le parole, a Dario, gli uscirono in falsetto.
Pearl gli regalò il primo dei suoi sorrisi wetware.
- Wob!-
Se non per il collegamento dei condotti verbali e uditivi dei loro cervelli con la sala di controllo, erano da soli in una bolla elettromagnetica programmata per simulare viaggi a lungo termine nello Spazio.
Dentro due corpi illusori come quelli dei sogni, generati dall'iscrizione in memoria dei nucleotidi dell'RNA e da stimolatori artificiali.
I loro corpi fisici, dapprima intorpiditi, erano ora dimenticati nei sedili sensoriali.
Le mani virtuali di Dario presero consistenza, trasformandosi da nuvolette di vapore a gelatinose pale di colore bruno. Quando finalmente gli riuscì di vedersi le dita, sollevò un indice e lo portò alle labbra per chiedere a Pearl di rimanere in silenzio.
La ragazza sembrò capire il significato di quel gesto e annuì con curiosità.
Le fece segno di seguirlo e i loro corpi virtuali, vestiti di impalpabili tute grigio azzurre, si mossero dalla stanza di compensazione per introdursi nella cabina di pilotaggio dove Giove prese posto nel sedile del capitano e Venere in quello del secondo pilota.
Innanzi a sé, un po' più in alto delle sue ginocchia e giusto sotto la console dei comandi, Dario notò una spirale in morbido lattice nero. Misurava una trentina di centimetri di diametro e vorticava lentamente priva di appoggi.
La ignorò e con familiare dimestichezza si mise a lavorare a due mani tra i comandi della console e la tavoletta posta in verticale alla sua sinistra.
- Ci metteranno un po' per capire che stanno ascoltando una registrazione in replay dei nostri condotti verbali mentre ce ne stavamo zitti. Intanto, noi avremo il tempo di parlare,- informò la sua compagna di viaggio.
- Wob! Wob!- ricambiò a suo modo Pearl. - Sei forte!-
Dario ignorò il complimento e le indicò con la punta di un dito la spirale nera che vorticava lentamente tra le sue ginocchia.
- Immagino che questa sia la versione wetware dell'applicazione che avevi in tasca quando ti hanno trovata sulla spiaggia,- affermò.
- Sì,- rispose Pearl.
- Paulo l'ha chiamata applicazione S.W.. La “S” starà per Spirale, suppongo, ma la “W” cosa significa?-
- E' l'iniziale del nome del ricercatore che l'ha ideata, si chiamava Wellington,- rispose Pearl.
Dario inarcò le sopracciglia.
- Strana coincidenza. Quando ero ragazzo ho scoperto il Mondo Wetware nella città di Wellington.-
Pearl inclinò il capo, la sua carnagione madreperlacea risaltava nel fievole alone di luce verde chartreuse della cabina.
- Madre Solitudine direbbe che non è una coincidenza, ma la parola magica che la Grande Madre ha usato per farti capire lo schema degli avvenimenti.-
- Chi è Madre Solitudine?- le domandò Dario.
- Oh, lei è la Maharanee dell'esopianeta 16 OAT b.-
- Maharanee?-
- Madre Solitudine si fa chiamare così. Però non è una regina, è la Governatrice della Colonia.-
- E tu credi di venire da 16 OAT b?-
- No! Io vengo da Pangea.-
Dario guardò in quegli strani occhi meravigliosamente neri e scintillanti che lo fissavano.
Non vorrei essere brusco, ma non abbiamo molto tempo, O.K.?-
- Wob! Mi piace O.K.. Qui da voi si usa molto. Noi non lo abbiamo questo modo di dire.-
- Ascoltami...- Dario allungò la mano destra per posarla su quella sinistra di Pearl e stringerla delicatamente.
- Sì...- assentì Pearl, e si corresse: - O.K..-
Dario prese un respiro.
- Non esiste nessuna Pangea. Tu sei il risultato di un esperimento su un feto umano.-
Calò un pesante silenzio spezzato dal ronzio elettronico che li circondava e pervadeva la cabina virtuale.
- Davvero?- chiese lei con voce sommessa.
Dario annuì e rispose: - Davvero.- Prese una breve pausa e seguitò: - Se tu venissi dallo Spazio il tuo DNA sarebbe diverso da quello degli esseri umani. Sei nata in un laboratorio sulla Terra.-
Lo scintillio di quegli occhi neri si accese.
- Sei come gli altri. Pensavo di potermi fidare di te,- rispose Pearl con la sua voce graffiante.
Dario intuì che quella strana ragazza, dopo quanto le aveva rivelato, non gli avrebbe più concesso i suoi deliziosi “Wob!”
- Ti puoi fidare!- affermò.
Lei aveva scostato la mano per mettersela in grembo e rannicchiarsi nel suo sedile.
- Mi ascolti?-
Pearl annuì.
- Non so quali siano le loro intenzioni nei tuoi riguardi, ma credo che tu ti possa fidare di Paulo. Non lo conosco benissimo, comunque mi ha dato l'impressione di essere un tipo a posto. L'ASI è un'agenzia seria con decenni di storia. Questo non significa che tu non debba prendere le tue precauzioni. Chiedi prima di dare, pretendi un contratto con firme in calce. Comprendi?-
Pearl annuì.
- Se ci capirò qualcosa di come funziona il tuo aggeggio, lo terrò per me finché non avrò il tuo O.K.. D'accordo?-
- O.K..-
Dario le porse la mano.
- Devo stringerla, non è vero?-
- Sì,- le rispose.


- Da quanto mi ha detto Paulo, questo tuo aggeggio ti permette di regolare con estrema velocità e precisione la vela magnetica di un veicolo spaziale in relazione all'intensità del vento stellare.-
- Sì, è così. Noi, però, non le chiamiamo vele, ma ali. Le ali delle nostre navi interplanetarie. E usiamo la Spirale di Wellington solo nei casi di emergenza. Gliel'ho fatto vedere all'ingegnere Mayen come funziona e lui ha registrato la simulazione, ma non ha capito le mie spiegazioni.-
- Fammici provare. Come si accende?- le domandò Dario.
- Premi il centro della Spirale con un dito. Si connetterà automaticamente con le ali e analizzerà la direzione e la forza del vento impostate dal simulatore. Puoi tenere sotto controllo ogni singolo anello superconduttore, ogni ala, e modificarne la portanza. I nostri comandanti, i migliori dei nostri comandanti, con l'aiuto della Spirale superano i zero.zero.quattro.zero.sette hamsa. Che sarebbero i vostri centosessantasei chilometri al secondo,- spiegò Pearl.
- Uhm, capisco perché Paulo è così interessato al tuo aggeggio. Seicentomila chilometri all'ora!-
Dario si volse verso di lei.
- Sei una comandante?-
- Sono un'allieva dell'Accademia. Mia madre lo era.-
- Lo era?-
- Sì, un incidente decollando da Pangea.-
- Mi dispiace,- disse Dario, cercando di non far trasparire la rabbia che di nuovo gli montava dentro pensando a cosa avevano fatto a quella docile creatura, al mondo falsato e inesistente in cui l'avevano fatta crescere.
- La mamma non ha sofferto,- disse Pearl e aggiunse: - Questa Spirale è stato il suo ultimo dono.- Poi deviò dall'argomento: - Fai attenzione, è molto potente.-
- Sono stato forgiato per domare le cose potenti, Bimba. Ti dispiace se ti chiamo Bimba?-
- Wob!-
- Comunque, grazie per l'avvertimento e... per il sorriso. Non ci speravo più,- le confidò Dario.
Poi, schiacciò con il pollice il centro della Spirale che, al suo tocco, reagì, aumentando la velocità di rotazione.
Dario si sporse in avanti, guardando il vortice nero che si accendeva di una luminosità oro-argento.
I colori riprodotti sul frontalino della scheda a memoria solida,” ricordò.
Ebbe l'impressione di cadere, sprofondando nel sedile, ma era la Spirale che si stava sollevando in mulinelli di granelli luminosi.
Nel suo vorticare, la Spirale nebulizzava della polvere dorata ampliando il raggio dei vortici.
Istintivamente, Dario alzò le mani per proteggersi dalle scintille che gli perforavano gli occhi.
Sentiva la voce di Pearl, ma non gli riusciva più di vederla.
La ragazza gli stava spiegando che ogni vortice della Spirale corrispondeva a uno degli anelli superconduttori del propulsore eliomagnetico, e che avrebbe dovuto raggiungere l'asse della Spirale dalla quale avrebbe potuto accedere ai nuclei dei singoli vortici e orientarli in conseguenza dell'intensità, del comportamento e della direzione del vento stellare programmate dal simulatore.
Le difficoltà di Dario erano due: non riusciva a distinguere i singoli vortici, e il suo corpo wetware aveva iniziato a girare insieme alla Spirale provocandogli, nonostante gli anni di pratica al simulatore, un senso di nausea.
Seguì le istruzioni della ragazza, cercando di concentrare tutta la sua attenzione sul punto centrale della Spirale. Come lo fece si ritrovò a galleggiare in un cilindro buio, un pozzo di un paio di metri di diametro, di una profondità insondabile. Dalla sua nuova posizione, riuscì a distinguere i singoli anelli con i loro campi magnetici, ognuno con una diversa sfumatura di colore.
Gli vorticavano intorno emanando una debole luce. 
Sentì la sua voce riecheggiare quando chiese: - Come faccio a orientare i campi magnetici?-
Non erano suoni le sue parole, ma gocce d'oro e argento che, uscendo dalla sua bocca, salivano oscillando come le bolle d'aria sott'acqua.
Non udì la risposta della ragazza, ne fu bagnato. Una pioggia dorata e ogni goccia, cadendo e scomparendo nelle profondità del pozzo buio, portava con sé una eco.
Le parole risuonavano dense di significati, lunghi percorsi cognitivi con molteplici diramazioni, ognuna vibrava sceverando una sensazione dopo l'altra e un'altra ancora.
Un ricordo, un richiamo, un avvertimento.
- Le parole hanno un potere immenso qui dentro!- esclamò Dario aprendo le braccia e guardando verso l'alto nel buio che pareva non avere fine.
Si concentrò nell'ascoltare l'eco di una delle parole pronunciate da Pearl. Era lo stesso vocabolo dalla flessione nominale che aveva sentito dalla voce della dottoressa Ongaro.
La goccia dorata in cui era racchiuso quel nome cadde come le altre gocce verso il fondo del pozzo, la sua eco era una scia di luce blu argentea come la coda di una cometa, ma invece di scomparire con le altre parole, risalì il cilindro nero in cui Dario galleggiava e all'improvviso lo colpì con una forza poderosa.
Quella parola sotto forma di goccia dorata entrò in lui.
Ghiaccio liquido che gli tolse il respiro e paralizzò il suo corpo virtuale.
La situazione cambiò in un attimo, da idilliaca si fece paurosa.
Dario riconobbe il gelo che preannuncia la cessazione delle funzioni vitali, era certo che il suo cuore, quello che pulsava nel suo corpo fisico, avesse rallentato i battiti, oppresso da quella forza dirompente che lacerava la sua consapevolezza.
Non sei in grado di controllare quanto ti sta accadendo qui dentro!” disse a se stesso. “Devi uscire!”
Si ritrovò nel sedile di comando della cabina wetware, senza sapere come ci fosse ritornato.
- Spegnila, prima che ti risucchi di nuovo!- lo ammonì Pearl, e Dario schiacciò il centro della Spirale con il pollice della mano destra.
- Porca miseria! Non è la prima volta che rischio di lasciarci la pelle, ma questa volta credo di esserci andato molto vicino,- affermò, riprendendosi dallo stordimento.
Pearl annuì.
- Ti avevo avvertito. Comunque sei stato bravo. Al pilota che ti ha preceduto è andata molto peggio.-
- Lui come ha reagito?- domandò Dario.
- Quando sono uscita dalla cabina wetware, la dottoressa Ongaro gli stava praticando un massaggio cardiaco,- rispose Pearl, mimando con le mani i gesti della rianimazione.
- Uhm,- Dario si accarezzò la testa virtuale, che era rasata similmente all'originale.
- Però, me lo potevi dire che non mi avresti permesso di agire sui comandi. La Spirale è protetta da un firewall.-
- Non è stato un firewall, e non è stata la Spirale ad afferrarti,- rispose Pearl.
- Beh, è stata la tua parola ad attivare la protezione, fino a qui ci arrivo,- insinuò Dario.
- No, ti sbagli. Ti ho avvertito che lui stava arrivando, altrimenti non te ne saresti accorto e ne avrebbe approfittato. La tua consapevolezza ha compreso il significato della mia parola, mentre lui ti stava afferrando.-
- Lui chi?- le chiese Dario.
- L'Essere che ha modificato il mio genoma quando ero piccola,- sussurrò Pearl e scostò timidamente lo sguardo. - Noi viviamo nello Spazio, c'è sempre il rischio che ci catturino. E' per questo che usiamo la Spirale di Wellington solo nei casi di emergenza,- seguitò la ragazza. - I vortici dorati che hai visto, sono sul confine dello spettro elettromagnetico. Oltre c'è l'Energia Oscura. Lui viene da lì. Vive nel Plasma Imperscrutabile. E' per questo che noi li chiamiamo i Plasmanero.-
Dario non si permise di ribattere, rimase in rispettoso silenzio.
Sentì di nuovo la rabbia montargli dentro e questa volta non era soltanto per quello che avevano fatto a Pearl.
- Ritorniamo nella realtà fisica,- propose, infine. - Voglio scambiare due chiacchiere con il nostro carissimo Paulo!-
Lei scosse il capo. - Io rimango qui,- sussurrò.


- Dimmi cosa c'è scritto sulla mia fronte!-
- Non c'è niente,- rispose Paulo, sentendosi in dovere di sopportare un'altra delle bizzarrie di Miura.
Di ritorno dalla realtà simulata, Dario gli aveva chiesto di scambiare due chiacchiere a quattrocchi e si erano appartati nella sala riunioni.
Se ne stavano in piedi, vicino al tavolo circolare.   
- E invece sì! Dovresti riuscire a leggere quello che c'è scritto sulla mia fronte. Perché sei stato tu a scriverci: “ Galeotto Sacrificabile!”-
- Ma figurati!-
- Me lo figuro eccome! Che ne è stato del vostro pilota?-
Paulo Aba si grattò un orecchio evidentemente in imbarazzo.
- E' fuori pericolo,- dichiarò a bassa voce, e affrontò il suo sguardo: - Non credevo che fosse rischioso per un uomo della tua forza fisica e della tua esperienza.-
- Se devo rischiare di morire, voglio essere io a decidere come e quando.-
- Sì, Miura, hai ragione. Ti chiedo scusa. Hai bisogno di rilassarti prima di riprovarci?-
- Io lì dentro non ci torno!-
Paulo si dimostrò contrariamente stupito da quella risposta. Gli diede le spalle per prendere posto in una delle poltroncine. Appoggiò un gomito sul ripiano del tavolo e si massaggiò la radice del naso.
- Pensaci bene. Lo sai cosa ti attende se te ne vai.-
Dario disse di sì con il capo, cercò le sigarette e se ne accese una nervosamente.
- Va bene,- seguitò Paulo. - Abbiamo altri programmatori in lista di attesa. Informerò gli uomini della scorta e ti farò riaccompagnare al carcere di Trieste. Ti chiedo solo di compilare un rapporto con le tue conclusioni al riguardo dell'applicazione S.W., potrebbe tornarci utile.-
Dario fumava, ritto in piedi, una tirata dopo l'altra.
- Lì dentro... ogni eco è un richiamo... è una cosa pazzesca!- disse, guardando Paulo Aba negli occhi attraverso il fumo bluastro della sigaretta. - Sono arrivato ai campi magnetici di ogni singolo anello. Ma c'era qualcosa... forse qualcuno... che mi ha bloccato. Siete sicuri che l'applicazione non sia raggiungibile dall'esterno?-
- Sicurissimi, il Centro è monitorato.-
Dario Miura sollevò lo sguardo al soffitto. Una reminiscenza dell'esperienza appena vissuta: Una goccia d'argento gli bagnò il viso.
C'era una frase nascosta in quella goccia d'argento, che diceva: “ Tu non abbandonerai Pearl. Per il semplice fatto che non la puoi abbandonare.
- Porca miseria!- Cercò un portacenere, non trovandolo, si avviò a una delle ampie finestre assolate e la spalancò. Sputò sulla brace della sigaretta centrandola al primo tentativo.
Richiusa la finestra, si guardò intorno per gettare il mozzicone spento in un cestino.
Ad ampie falcate ritornò sui propri passi per posizionarsi di fronte a Paulo Aba che lo osservava in silenzio.
- Fammici riprovare!-
Paulo Aba acconsentì con un genuino sorriso, per quanto il disilicato di litio lo consentisse, e riaccompagnò Dario Miura al simulatore.


Rimasto da solo, il responsabile dell'ASI uscì all'esterno della struttura per percorrere un vialetto e raggiungere una piazzola isolata, ombreggiata da un gruppo di palme dall'alto fusto.
Dalla tasca della giacca pescò il costoso telefono satellitare e richiamò sul display il numero che aveva memorizzato in cima alla lista dei contatti importanti.
- Sono il dottor Aba... Sì, grazie.-
L'Assistente del Sottosegretario gli chiese di attendere in linea e, dopo un paio di click, Paulo riconobbe la voce e il marcato accento del Sottosegretario. 
- Sono piuttosto occupato, ma vista l'importanza della faccenda ho preferito sentirla di persona, dottor Aba. Dunque, mi aggiorni...- lo invitò il Sottosegretario.
- Sì, signor Sottosegretario. Dario Miura sta facendo del suo meglio,- Paulo prese una pausa e seguitò: - Purtroppo, non abbiamo ancora raggiunto i risultati sperati.-
Paulo sentì il profondo sospiro di rammarico del Sottosegretario attraversare due continenti.
- Dottor Aba, sarebbe un punto a nostro favore se fossimo noi, attraverso di voi, a spiegare alla Delegazione Statunitense il funzionamento di questa nuova applicazione per la Tecnologia Spaziale. Mi capisce vero?-
- Sì, signor Sottosegretario. Ma mi permetto di ricordarle che testare applicazioni wetware, di cui non conosciamo il funzionamento specifico, comporta notevoli rischi.-
- Dottor Aba, non sarà preoccupato per quel… Come lo posso definire, mi aiuti.-
- Non sono preoccupato per Miura, signor Sottosegretario, cioè...-
- La devo lasciare, mi tenga aggiornato.-

- Sei ritornato,- affermò Pearl, il tono era leggermente sorpreso.
- Sì, sono un tipo geloso. Se non l'avessi fatto, ti avrebbero affibbiato un altro deficiente, e magari quello si sarebbe messo a farti le smancerie,- le rispose.
- Smanceria... effusione sdolcinata,- disse Pearl, sorridendo a suo modo: - Wob!-
- Ce li avete gli astici su Pangea?-
Pearl ci pensò sopra e rispose come parlando a se stessa: - Homarus gammarus, animale marino del Pianeta Originario, crostaceo decapode perché ha dieci zampe... No, non li abbiamo, mi dispiace. Ma abbiamo i serpenti gialli di Pangea.-
- E sono buoni da mangiare?-
- Wob! Wob! Buonissimi!-
- Senti Bimba, vorrei che mi spiegassi come si regolano gli anelli del propulsore dal Pozzo dei Vortici.-
Pearl non gli rispose, si portò invece un indice alle labbra, come aveva fatto lui quando erano entrati insieme nella cabina wetware. I comandi erano duplicati e Pearl, dalla sua postazione, ripeté la stessa procedura che aveva visto fare a Dario per interrompere le comunicazioni verbali-uditive con la Sala di Controllo.
- Perché ti tengono in catene?-
Dario Miura sospirò.
- Perché per far impazzire la gente ci vuole la licenza e io non ce l'ho,- le rispose.
- Se riesci a capire la Spirale, sarai libero?-
- No, ma potrò fumare tabacco e mangiare astice a pranzo e cena.-
- Vuoi venire con me?-
- Dimmi quando e come. Ah, dimenticavo! Dimmi anche dove.-
- A casa mia, su Pangea. Il Plasmanero non se n'è andato e mi riporterà a casa. E' stato lui a catturarmi e portarmi qui, sul Pianeta Originario. A volte, ti rapiscono e ti portano con loro, nessuno sa perché, ma succede.-
Gli occhi neri di Pearl scintillavano di pura consapevolezza.
- Trecento anni fa,- continuò la ragazza,- i miei antenati terrestri si sono trovati nel mezzo di una fluttuazione della Grande Madre e sono stati trasportati nello Spazio Profondo dove hanno imparato molte cose, tra le quali, l'esistenza dei Plasmanero. Se gli concedi un po' dei tuoi infrarossi ti permetterà di salire sulla sua nave.-
- Certo che ti hanno riempito la testa di stupidaggini, eh?-
- Vieni o no?-
Dario ci pensò sopra.
Aveva deciso che, tornato in carcere, non avrebbe tentato di imitare un raggio di Luna, avrebbe resistito.
E non gli andava di rischiare la vita per stare vicino a quella strana ragazza e alla sua immaginaria follia. Però, non la poteva abbandonare, porca miseria!
- Bimba, siamo in una bolla virtuale, i nostri corpi fisici sono là fuori.-
- E dove pensi che ci stia aspettando il Plasmanero? Apri gli occhi.-
- Sono aperti,- rispose Dario e sentì uno strattone che gli fece davvero aprire gli occhi, quelli del suo corpo fisico.
Pearl lo sovrastava e lo stava scuotendo con forza.
- Ci sei?-
Dario rispose di sì con il capo.
Pearl si era liberata dalle cinghie contenitive del sedile sensoriale e aveva allentato quelle del sedile di Dario.
Agile come una gatta, raggiunse la zona di interfacciamento del quadro elaborazione dati per riappropriarsi della sua scheda con incisa sul frontalino la spirale oro-argentea.
A fatica, Dario si era messo in piedi, provava la stessa sensazione che aveva sperimentato nel Pozzo dei Vortici, il suo corpo fisico si stava congelando dall'interno.
- Si nutre dei tuoi infrarossi, del tuo calore, non sa comunicare in un altro modo,- lo informò Pearl, guardando oltre le sue spalle.
Dario si volse, c'era una massa scura acquattata in un angolo, appresso la paratia. Dava l'impressione di tremolare come un gas ionizzato, una scarica di plasma che non emetteva luce, al contrario, inghiottiva ogni fonte luminosa del simulatore.
Dario fu colto dal dubbio che non fosse un artificio umano.
- Vieni?- chiese Pearl.
Intontito dalla stranezza e dalla velocità di quanto stava accadendo, Dario Miura riuscì a dire: - 'Sta cosa mi intriga troppo per farmela scappare!-


L'allarme risuonò nella sala di controllo.
- Deve esserci un guasto. Le telecamere nel simulatore si sono spente,- affermò Mayen.
- I parametri vitali di Miura sono cessati!- esclamò una delle assistenti in tono preoccupato. - Quelli della ragazza...-
Paulo Aba non si intrattenne oltre, si precipitò fuori dalla sala di controllo per raggiungere il simulatore.
Si mise a correre lungo il corridoio con il senso di colpa che gli smorzava il respiro.
Sei stato tu a ucciderlo! Sei stato tu a ucciderlo!” ripeteva a se stesso.
Vide per primo l'agente governativo che Dario Miura aveva soprannominato Mikeze, l'uomo si reggeva a mala pena in piedi appoggiandosi alla parete. L'orgoglio professionale dimenticato chissà dove. L'altro agente, Jakeze, se ne stava chino con le mani sulle ginocchia. Del liquido scuro, forse caffè, sul pavimento ai suoi piedi.
Accortosi del sopraggiungere di Paulo Aba, Jakeze sollevò un braccio per indicare il simulatore e, tra gli spasmi, riuscì a pronunciare qualche parola: - Lì dentro... terribile!-
Paulo aprì il portello e dalla soglia guardò l'interno del simulatore, gli ci volle una frazione di secondo per capire la situazione.
- Baaastardo!- lo pronunciò con una tale drammatica enfasi che, se l'avesse esclamato sul palcoscenico di un teatro, avrebbe fatto rodere dall'invidia il più quotato degli attori.
Paulo si risistemò la giacca e il nodo alla cravatta, con le dita di una mano si buttò indietro i capelli e, ricorrendo agli insegnamenti del suo maestro di Tai Chi, riprese il controllo di se stesso.
(A posteriori, dai successivi verbali di accertamento e dalle registrazioni audio-video, risultò che il dottor Paulo Aba si era comportato all'altezza della sua posizione, allertando chi di dovere e non mancando di seguire scrupolosamente le procedure).
Chiamò la moglie al telefono e le disse che nonostante Dario Miura gli avesse rovinato la carriera, non gli riusciva di odiarlo.
Per Paulo Aba, spiegare la situazione al Sottosegretario fu una vera impresa, gli ci vollero due telefonate.
Nella prima delle telefonate il Sottosegretario rispose in questi termini: - Dottor Aba, le ricordo che in mattinata il Ministro ha accolto a Roma la Delegazione Statunitense venuta espressamente dal Texas. Pezzi grossi, per intenderci, ai quali affideremo quella strana ragazza. Come ha detto che si chiama, Paula?-
- Si chiama Pearl, signor Sottosegretario,- rispose Paulo Aba.
- Ah! Ho confuso. Sì, questa Pearl. A ogni modo, gli americani, una volta sul luogo, valuteranno il lavoro di quel Miura, pare che lo conoscano. Sa come sono gli americani, sempre informati! E, se lo riterranno necessario, ci sarà una richiesta di trasferimento anche per lui. Il Ministro ha già dato il suo parere favorevole.-
- Sì, signor Sottosegretario.-
- Dunque, tenga conto che atterreranno all'Aeroporto di Malindi tra nove ore. Ha tutto il tempo per risolvere la faccenda.- 
- Sì, signor Sottosegretario.-
Alla fine della conversazione, Paulo non era certo che il Sottosegretario avesse capito la gravità della situazione.
Ci vollero una quarantina di minuti prima che il Sottosegretario lo richiamasse: - Mi ascolti, dottor Aba. Spero che voi dell'Agenzia non abbiate l'intenzione di mettere in imbarazzo il Ministro!-
- Assolutamente no, signor Sottosegretario!-
- Bene, mi aggiorni...-
Paulo Aba, con il telefono satellitare premuto sull'orecchio, alzò lo sguardo all'orizzonte che si stava tingendo di un blu-verde scuro.
Sarebbe stata la notte dell'atteso bacio tra Venere e Giove, osservabile da ogni parte della Terra.
Con il dorso della mano libera, Paulo si strofinò la fronte imperlata di gocce di sudore, prese un profondissimo respiro e, facendosi forza, si decise a rispondere.
Le parole, nonostante ce la mettesse tutta per esternare una solida sicurezza, gli uscirono a singhiozzo: - Li stiamo... ancora... cercando!-
Ebbene, si dice che sia andata proprio così.
E si dice anche che se in una notte senza nuvole si sorride al passaggio di due stelle che sembrano davvero vicine, non si sa come, non si sa quando, ma Venere e Giove risponderanno.
- Wob!-


Sci-Fi Short Story Vincent Bianco